No profit please, we are publishers. (Niente profitti prego, siamo editori).

Nader Kabbani.

È questo il nome cui sembra dovremo guardare in Italia nei prossimi mesi per capire se il sistema del self-publishing farà un nuovo balzo in avanti, conquistando altre quote di mercato.

Nader Kabbani è uno dei VP (Vice-President) di Amazon[1], per l’esattezza è il VP che si occupa di self-publishing e che curerà il lancio in Europa di KDP (acronimo di Kindle Direct Publishing), piattaforma di self-publishing, che consente a chiunque di pubblicare i propri ebook e di distribuirli in più di dieci Paesi nel mondo. È l’autore che decide contenuto e prezzo del suo libro, in modalità dinamica, con la possibilità anche di stampare il libro se richiesto dall’utente interessato all’acquisto.

Fin qui niente di nuovo, è già possibile farlo con altre piattaforme. Vero, ma quando colossi come Amazon si muovono vuol dire che il mercato sta per diventare interessante e ci penseranno loro a velocizzare questo processo. E questo vuol dire anche che per gli editori nostrani è tempo di monitorare sempre con maggiore attenzione questo segmento di mercato che in paesi in cui il self-publishing è partito prima e in cui Amazon & C si sono già messi al lavoro, raggiunge già quote intorno al 30% dei profitti (USA).

Perché se è vero che il self-publishing ha inondato gli utenti dei social network di autopromozioni per acquistare l’ultimo romanzo di uno dei loro 754 “amici”, è anche vero che alcune fra le migliaia di auto pubblicazioni esistenti hanno cominciato a vendere e in paesi come gli USA anche molto bene, tanto da far iniziare a pensare che auto pubblicare il proprio lavoro non sia soltanto un modo per soddisfare il proprio ego, ma una vera e propria lotta fra gli editori (i cattivi) che vogliono controllare chi e cosa far leggere alla gente e i combattenti per la libertà d’espressione (i buoni - gli autori auto pubblicati appunto) che invece vogliono concedere al lettore la massima libertà possibile.

Ed ecco allora che gli editori hanno iniziato in USA una loro campagna auto promozionale per dimostrare che sì, loro guadagnano con i libri, ma quel guadagno lo usano per rispettare la regola 20/80 che da sempre esiste in editoria (con i ricavi ottenuti dal 20% dei libri prodotti, si sovvenziona l’80% dei rimanenti, che altrimenti non sarebbero mai pubblicati, classici compresi se ritenuti non più interessanti dal punto di vista dei profitti generati). Ora però se una parte di questo “20” viene assorbito dal self-publishing e dai suoi autori-combattenti per la libertà di successo, come faranno gli editori a gestire le loro “social enterprises”?

Che i grandi “publishers” americani inizino a temere il self-publishing se non è prodotto da loro? E dovrebbero temerlo anche gli editori italiani? Forse, soprattutto se realtà come Amazon iniziano a colonizzare tutto ciò che intorno a questo mondo gira. Pensiamo al lancio di Kindle Worlds, self publishing per fan fiction o all’acquisto, sempre da parte di Amazon, di Goodreads, social network dedicato ai libri creato nel 2006 che conta più di dieci milioni di utenti in tutto il mondo ed è divenuto un passaggio chiave per decidere del successo editoriale di un titolo. Se poi il self-publishing rischia di trasformarsi da immorale a trendy (è il caso dell’attore Jim Carrey che ha scelto questa modalità per pubblicare un libro di racconti per bambini) i profitti per gli editori potrebbero essere in pericolo.

[1] = Su La Lettura articolo completo dedicato a Nader Kabbani. http://lettura.corriere.it/amazon-la-campagna-d%e2%80%99italia/  




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