Scrittori: una forma di vita a rischio? Uno sguardo al mercato editoriale inglese.
Chi si ricorda di Michael Dorsey?
È un personaggio molto
particolare di una storia molto particolare. Vi do un aiuto: era un attore ed
era disoccupato. Erano i primi anni ’80 ed essere un attore a New York voleva
dire essere senza lavoro. E non che mancasse di talento, Michael aveva solo
l’abitudine di dire ai suoi registi cosa pensava e non era disposto a barattare
ciò che credeva necessario per il suo pubblico con quello che gli dicevano che
il pubblico desiderasse. E per dimostrarlo era pronto a tutto, anche a
vestirsi da pomodoro in una pubblicità o da donna per interpretare
una personalissima direttrice di ospedale in una soap opera. Con quei soldi
avrebbe prodotto da solo la commedia che nessuno voleva produrre perché “il
pubblico ha solo bisogno di divertirsi” come gli ricorda più volte il suo
agente. Stiamo parlando del protagonista del film Tootsie di
Sidney Pollack (1982) che dimostrò le sublimi doti da trasformista di un
giovane Dustin Hoffman e aprì la strada a una lunga serie di ruoli en
travestì in cui l’artista di turno si trova ovviamente senza soldi e senza
lavoro, almeno quello che vorrebbe fare, e deve inventarsi di tutto pur di
continuare a mangiare, senza mai rinunciare alla sua profonda e spesso
fastidiosa diversità (uno per tutti il Mrs. Doubtfire, con
un Robin Williams doppiatore e attore talentuosissimo e quindi senza lavoro).
L’arte, ci diceva Gabriele
Lavia in Ricordati di me di
Gabriele Muccino, ha sempre fame. Non si può avere la pancia piena, fisica o
metaforica che sia, e scrivere, recitare, dipingere qualcosa di buono, c’è
bisogno dell’insoddisfazione profonda, del tormento, del disagio e di dire ciò
che si sente senza filtri e questo di solito non piace. Fin qui nulla di
nuovo direte voi. Se dovessimo fare il nome di uno scrittore contemporaneo
italiano che vive del suo lavoro “puro”, senza contare cioè la remunerazione
per le comparsate in show, eventi e sponsorizzazioni varie, insomma le parti
“da pomodoro” cui era costretto anche Michael Dorsey oppure i lavori puramente
remunerativi che nulla hanno a che fare con l’oggetto della propria musa, saremmo
in difficoltà. Ma questa è l’Italia e si sa che con l’arte, come ebbe a dire un
nostro ex ministro, non si mangia. In altri paesi funziona diversamente. O
almeno funzionava. Uno di questi era sicuramente la Gran Bretagna in cui il
governo, le varie fondazioni e soprattutto il sistema editoriale, da quando ha
trasformato alcuni premi letterari in eventi mediatici (a partire dal Booker
prize nel 1980), è riuscito a creare nell’opinione pubblica un tale e
crescente interesse nei confronti degli scrittori e del loro lavoro, da
incrementare notevolmente le vendite, permettendo così agli scrittori
britannici di rompere secoli di “affamata” tradizione. Per più di un
ventennio, grazie a corposi anticipi sulle loro opere future, molti scrittori
inglesi hanno potuto dedicarsi solo alla loro arte, mettendo in soffitta il
costume da pomodoro. Poi qualcosa è
cambiato. E non si trattava del titolo del film di James L. Brooks del
1997, con tanto di protagonista scrittore ossessivo compulsivo interpretato da
Jack Nicolson che viveva serenamente delle vendite
dei suoi libri, ma del credit crunch che, a partire dal 2007, oltre a
miniaturizzare la finanza londinese, tagliò i budget delle case editrici e i
relativi anticipi.
Leggendo un articolo
di Robert McCrum su The Observer
scopriamo che nomi di primo piano della narrativa inglese (Rupert
Thomson, Hanif
Kureishi, Joanna
Kavenna) sono alle prese con il proprio conto in banca, sempre più ridotto,
temono di dover tirare fuori i rispettivi costumi a forma di pomodoro
dall’armadio o addirittura di non poter più scrivere in un futuro
prossimo per doversi dedicare esclusivamente a qualche altra forma di
sostentamento, tanto che McCrum definisce gli scrittori “una forma di vita a
rischio”. Anche le case editrici britanniche dovranno ora scegliere di
pubblicare quasi esclusivamente libri che avranno un ritorno in termini di
numero di copie vendute importante, limitando così non soltanto l’accesso ai
nuovi autori, ma anche a quelli che in passato si sono distinti per un alto
tasso di diversità e (ahimè) un basso tasso di redditività. Chi avrebbe
pensato che finanza e editoria avessero tanti punti di contatto? Che a dirlo non
sia uno scrittore-giornalista-pomodoro innamorato dell’arte per l’arte,
ma un signore (McCrum)
che ha lavorato per un ventennio in una delle case editrici più importanti
dell’UK come direttore editoriale fa pensare. Nulla di nuovo per il mercato
italiano del libro direte. Vero, ma realizzare che siano paesi come la Gran
Bretagna ad avvicinarsi a noi e non il contrario non ci fa ben sperare per gli
artisti ad alto tasso di diversità. Certo, Tootsie insegna, potranno
sempre camuffare parte della loro diversità pur di entrare nell’arena, ma il
difficile sarà rimanere sempre Michael Dorsey sotto.
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