Il Ruzzle di Alice al Festival Internazionale del Film di Roma


Chi è pronto a una partita a Ruzzle con Alice? Vi avviso, 
si tratta di una versione molto particolare del gioco che ci spinge a trovare parole dal senso compiuto in mezzo a una scacchiera di lettere confuse.  

La versione che si è trovata di fronte Alice Howland, protagonista del film Still Alice (presentato alla nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma) è assai più complessa e dinamica. Nella versione di Alice le lettere possono improvvisamente perdere di significato, dissolvendosi nella mente quando si è a un passo dalla soluzione. 

Studiosa di linguistica e professore alla Columbia University di New York, Alice ha subito il fascino del linguaggio fin da quando ha preso in mano il primo libro (lo cita come uno dei primi ricordi infantili) e da allora la sua mente non si è più fermata, rovistando nei meccanismi più profondi del sistema fonetico che abbiamo scelto come veicolo primario per condividere le nostre emozioni e i nostri desideri. 

Poi qualcosa si blocca nella testa di Alice, i neuroni si scheggiano, puntine difettose che vanno avanti e indietro sui dischi della memoria. Alice scopre di avere una versione precoce dell’Alzheimer che la trasformerà in poco tempo nel guscio della persona che era prima. 

Ed è in questo momento che il film diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland (registi diventati cult nel 2006 al Sundance Festival con il loro Quinceañera) sale di livello, riuscendo a evitare tutte le possibili trappole di un plot del genere (incursioni nel patetico o nel moralistico ), regalando al pubblico la possibilità di entrare nel sistema percettivo di un malato di Alzheimer senza preconcetti.


Alice (nomina sunt consequentia rerum) ci guida in un mondo di meraviglie al contrario, che lei stessa non conosce e di cui non sa prevedere l’evoluzione. Un mondo che la spaventa, che la porterà all’annullamento, ma che Alice vuole comunque perlustrare, decodificare. Perché la sua voglia di conoscenza ed espressione di se stessa, pretende l’impossibile. Pretende la salvezza. 

E sebbene tutti, a cominciare da Alice (e da una eccezionale Julianne Moore che l’interpreta), sappiamo che alla fine lei perderà la partita, non possiamo smettere di tifare. Il film di Glatzer e Westmoreland, tratto dal romanzo omonimo di Lisa Genova, neuro psichiatra americana, ha il merito di portare sul grande schermo una visione sistemica di cosa accade nella mente di un malato di Alzheimer e in quella delle persone che lo circondano, riuscendo a bilanciare quel Sense and Sensibilty che sembrava impossibile da raggiungere per le sorelle Dashwood, almeno per un lettore frettoloso di Jane Austen.     



Commenti

Post popolari in questo blog

Un giorno come questo di Peter Stamm

L’ansia di fare, sì, ma di chi è la colpa?

Nessuno, nemmeno la pioggia, ha così piccole mani