ROMAEUROPA FESTIVAL: Il cerchio rosso di Akram Khan e Israel Galvan
Un cerchio rosso come la terra,
come il sole che l’illumina o la luna che l’accarezza.
Nel mezzo due uomini: Akram Khan e Israel Galvan che si
scrutano alla ricerca del suono perfetto da trasformare in movimento perfetto.
Attorno a loro percussionisti e cantanti che fanno levitare questo cerchio fra
il Gange di Khan e il Mediterraneo di Galvan, prendendo a prestito sonorità dai
Canti Gregoriani, dalle
nenie siciliane e dalle sillabazioni vocali del Flamenco e del Kathak (danza
indiana dalla storia millenaria). Questo l’incipit del ROMAEUROPA FESTIVAL – anno 29.
L’evento, che vedrà Roma popolarsi di 300 artisti provenienti da 19 Paesi per
dar vita a più di cinquanta nuovi progetti artistici che spaziano dalla danza
alla musica, dal teatro all’ arte visuale, offrirà al pubblico la possibilità
di annusare da vicino le personalità più innovative nel campo dell’arte
contemporanea.
Chi ha avuto il privilegio di assistere a una delle tre repliche
di Torobaka (questo il nome del pas-de-deux messo in
scena da Khan e Galvan) ha imparato un nuovo linguaggio fatto di sonagli scossi
e tacchi sbattuti, che ha dimostrato al pubblico come sia possibile suonare
ogni singolo ossicino del corpo
umano, trasformandolo in pura gioia.
Khan e Galvan si passavano la musica che
li avvolgeva come se fosse stata un pallone da basket e loro due giocatori
fatti d’aria. Sinuoso e accogliente Akram Khan, sprezzante e irriverente Israel
Galvan, insieme i due ballerini hanno preso al lazo le parole dei cantanti che
li accerchiavano, trasformandole in gesti precisi e naturali, almeno per chi
era stretto in quel cerchio rosso.
La scelta dei due coreografi-ballerini di
costruire il loro spettacolo utilizzando musicisti e cantanti che si sono
esibiti dal vivo si è rivelata essenziale per il ritmo dello spettacolo,
consentendo anche alcuni passaggi autoironici in cui i ballerini chiudevano la
bocca ai cantanti o litigavano con il loro corpo.
Incredibile la potenza vocale
di Christine Leboutte e soprattutto di David Azurza, che per fisicità ricordava
il San Girolamo del Caravaggio con il
dono di una voce che apriva nel suo ascoltatore una finestra in un mondo di
fatata purezza. Se questo è stato solo l’incipit del festival, aspetteremo con
ansia i prossimi incontri.
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