Il sapore del mondo di Fabio Stassi

Leggere i libri di Fabio Stassi, soprattutto quelli che mettono in relazione la sua passione letteraria alla sua erudizione, è un piacere che tutti dovrebbero provare una volta nella vita. Nella scelta minuziosa degli aggettivi e immaginifica delle metafore, si fa strada il piacere di uno scrittore che si sente in prima battuta un lettore e da questo punto vista racconta storie fatte su misura per gli adepti della religione del romanzo. 


Con questo nuovo libro, Con in bocca il sapore del mondo (pubblicato da minimum fax nella collana Nichel) Fabio Stassi non tradisce le aspettative. Il libro, nato da una trasmissione televisiva del 2018 dal titolo quanto mai evocativo (L’attimo fuggente), mette in scena una serie di monologhi di poeti del Novecento italiano che Stassi immagina mentre si raccontano in prima persona al lettore come se fossero parte di un mondo fantastico con regole astruse, così vicino eppure distante anni luce dal nostro, quasi fosse stato creato dalla penna di J.K. Rowling. Stassi di questo mondo sceglie dieci “esseri” per metà umani e per metà farfalla, di cui ci racconta con la mano e l’occhio attento dell’entomologo. Il suo obiettivo è comprenderli per condividerli con il lettore, anche se per capire la loro vera natura sarà costretto a inventarla. 


Nascono così letture goduriose sulle passeggiate di Dino Campana, “mendicante di luce” fra i boschi intorno a Rovigo, dove «i rami secchi sembrano coralli sotto i piedi e tutto, in certe ore, appare un oceano prosciugato» e le imprese del più grande falsario di parole e sentimenti (in arte Gabriele D’Annunzio), «mistero musicale con in bocca il sapore del mondo», sostenitore di un reddito di cittadinanza ante litteram (per soli poeti e milionario). Ci si perde fra la folle saggezza del saltimbanco dell’anima (in arte Aldo Palazzeschi), «che lentamente scandisce parole tutte d’oro», e l’abitudine alla solitudine del baritono pentito Eugenio Montale, per il quale «scrivere non è poi così diverso che cantare in un teatro vuoto, di fronte a un pubblico invisibile». Ogni poeta ci mostra la sua personale e sconnessa strada per raggiungere le parole “perfette”, quelle (e solo quelle) che Salvatore Quasimodo paragona a dei pupi siciliani, con «un’ossatura invisibile di legno e di ferro» che sta allo scrittore manovrare fino a ottenere la rappresentazione che corrisponde al meglio al proprio stato d’animo. Un percorso lungo e pieno di pericoli, poiché basta una sola parola sbagliata a rovinare tutta la tessitura di emozioni: «I poeti sono dromedari – mio caro Lettore – perché attraversano il deserto della loro solitudine cosparsa da tante mine che sono le loro parole». 


Grazie a In bocca il sapore del mondo, scopriamo che i poeti sono anche dei collezionisti di francobolli. Come gli appassionati di filatelia, devono reperire gli esemplari migliori (le parole), immergerli in vasche di acqua calda perché perdano il significato originario e ne acquistino un altro. Poi vanno asciugati, stirati e messi da parte per il momento che più li valorizzerà. E quando, messi assieme, costituiranno una poesia, essa, come un francobollo, andrà in giro per il mondo, «per redimere la voce di chi la scrive, per restituirgli tutta la libertà che la vita ci toglie».
La leggerezza e la precisione della narrazione di Stassi, che ci fa diventare subito amici dell’uomo (o della donna) che si nasconde dietro il poeta, nasce anche dalla grande passione di questo autore per l’approfondimento, capace di lunghi lavori di documentazione e studio che gli permettono di unire vero e verosimile in maniera armoniosa e coerente. Per questo, completata, con il rammarico del lettore appassionato, la lettura di quest’ultimo lavoro di Fabio Stassi, vi sentirete rigenerati, come se attraverso le parole dell’autore de Il libro dei personaggi letterari (lettura che consiglio a chi fosse in cerca di nuove finestre sul mondo della letteratura) aveste fatto un bagno nel torrente in piena delle vostre più preziose emozioni e foste pronti per nuove battaglie, ricordando che, come insegna Umberto Saba, l’artista può essere anche un bottegaio, ma mai del proprio ideale.


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