Eleanor Oliphant sta benissimo, siamo noi a non poter più vivere senza di lei

Un libro da non finire mai. È questa la sensazione che pervade il lettore alle prese con Eleanor Oliphant sta benissimo di Gail Honeyman (edizioni Garzanti – traduzione di Stefano Beretta). Il romanzo è stato il caso letterario del 2018 nel mondo anglosassone e fa da coronamento a un ciclo di romanzi ‘up-lit’ che si sono incamminati verso il successo di vendite e di critica fra la fine del 2018 e l’inizio del 2019. Per una volta, l’autrice non è l’ennesima ventenne che non aveva mai scritto in vita sua e alla sua prima prova letteraria produce un ‘capolavoro’, ma una matura signora scozzese, che ha lavorato con tenacia (e per decenni) all’idea e alla realizzazione di questo romanzo.


La protagonista (Eleanor) è una trentenne che vive in totale solitudine a Glasgow (città della Honeyman), osservando le persone che la circondano con biasimo misto a stupore per la loro necessità di avere scambi periodici e insulsi con altri esseri umani, scambi di cui Eleanor ha imparato a fare a meno da tempo, concentrandosi sulla ripetizione. Lavoro, cibo, telefonata settimanale con la madre, vodka, tutto è scandito da un’agenda granitica, che si ripete giorno dopo giorno immutabile, tenendo insieme la sua vita. Poi accade qualcosa, il lettore se lo aspetta, altrimenti mollerebbe a pagina venti, ma quel qualcosa è molto piccolo, uno dei tanti ‘qualcosa’ che capita nelle nostre giornate continuamente, senza avere alcun effetto sulle nostre agende. Ma per Eleanor è diverso, lei è diversa, con la sua abitudine a osservare costantemente gli altri alla ricerca di un gesto goffo, stupido e inutile, che nessuno sano di mente e dotato di un minimo di eleganza compirebbe e che, ciononostante, la conquista. 

Glasgow

Perché, pur essendo stata cresciuta da una madre che l’ha fatta sentire una donna senza qualità, capace solo di deludere la gente, Eleanor non ha trasformato il suo dolore in risentimento, né in invidia per il mondo che le girava intorno come una giostra luccicante su cui lei non poteva salire. La protagonista del romanzo della Honeyman conserva lo sguardo curioso e capace di sorprendersi dei bambini, senza cadere nella trappola dei personaggi zuccherosamente perfetti e puri (pensiamo all’Amélie di Jean-Pierre Jeunet) che non sono in grado di fare o pensare male di qualcuno.  


Eleanor è fatta di ben altra pasta, gli altri li critica, li maltratta e li giudica, così da rimanere nel suo ghetto di cicatrici emotive e fisiche che la fanno sentire brutta e stupida, una fallita. Il fallimento può diventare un ottimo alleato, dai falliti non ci si aspetta nulla, i falliti non possono deludere nessuno. Ma quando Raymond, un collega di Eleanor, le rivolge un’inattesa attenzione, lei si trova a dover attraversare il fiume di paura che li divide, esponendosi. Inizia così un viaggio nella terra dei ‘normali’ che vede il lettore patteggiare spudoratamente per Eleanor, fino a voler rallentare la lettura del romanzo per paura di scoprire qualcosa del suo passato, qualcosa che la Honeyman abilmente ci fa intravedere, senza svelare, per le prime duecento pagine del libro, qualcosa che possa risultare troppo per i normali che crediamo di essere.


Leggere Eleanor Oliphant sta benissimo è un piacere raro, che da tempo non provavo scorrendo le pagine di un romanzo contemporaneo e che mi ha fatto scrivere questo post quando non avevo ancora finito di leggerlo. E ora salutandovi, mi resta la paura: riuscirò a vivere senza di lei? E voi?


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