La rotta del colibrì di Sandro Veronesi

“Per andare dove non sai, devi passare per dove non sai”. Di tutte le frasi che ho trascritto sulla prima pagina del nuovo romanzo di Sandro Veronesi (Il colibrì edito da La nave di Teseo nella collana Oceani) è quella che meglio rappresenta lo spirito con cui il lettore si dovrebbe avvicinare alla storia di Marco Carrera. Il protagonista de Il colibrì è esattamente il personaggio che ci si aspetterebbe da Veronesi (da Caos calmo a Terre rare): toscano, benestante, professionista irreprensibile, ingenuo, in cerca (inconsapevolmente e suo malgrado) di qualcosa di non ben definito che gli cambi la vita. Quel qualcosa si materializza in Daniele Carradori, che piomba nello studio oculistico di Marco Carrera per metterlo in guardia dalla moglie Marina di cui Daniele è psicoterapeuta.


Gli incipit sono sempre stati uno dei punti di forza di Veronesi, che riesce a catturare l’attenzione del lettore come pochi fra i narratori contemporanei italiani, quello che spesso accade però è la diluizione di tale effetto, colpevoli le sue liste della spesa, le citazioni occulte (che adoro), le parentesi delle parentesi e i dialoghi che Alessandro Piperno in un brillante articolo definisce correttamente ‘funambolici’. La soglia di attenzione del lettore è così messa a dura prova, soprattutto se si è in cerca di una storia lineare che rassicuri anziché destabilizzare. Ma come dice l’autore “per andare dove non sai, devi passare per dove non sai”. E il lettore de Il colibrì passerà di certo per luoghi sconosciuti, fatti di memorie che si incrociano e si annullano in un continuo sistema di flashback e fast-forward che Veronesi attua ambientando ogni capitolo in un momento temporale diverso, distante spesso dieci o venti anni (in avanti o all’indietro) dal precedente. Non tutte vi piaceranno, anzi alcune le odierete, ma tutte saranno state necessarie a farvi arrivare, in una storia a bivi teleguidata, esattamente dove voleva l’autore. E se la domanda è già sorta dentro di voi, vi rispondo subito: sì, Il colibrì è un romanzo a tesi, che non si vergogna di dichiararlo (anzi costruisce la sua essenza su questa idea). E se alla fine della lettura proverete a contare le sciagure e gli imprevisti con cui ha dovuto confrontarsi Marco Carrera, scoprirete che sono decine e decine, spesso segnati dalla morte di un personaggio che deve ancora comparire nella trama asincrona disegnata da Veronesi. Troppe verrebbe da dire, soprattutto perché quelle violente e premature sono più di quelle naturali, ma necessarie a far capire al protagonista e al lettore che il tempo è più potente della coerenza nella sua corsa a consumarci e non concede tregua. Parafrasando T. S. Eliot potremmo sintetizzare il monito del film in: non è mai troppo tardi per diventare la persona che si sognava di essere.


Dei personaggi secondari che incrociano la vita di Marco Carrera, uno dei più sinceri e vividi è quello di Irene, sorella di Marco, che in una serata estiva del 1974 tenterà di mettere fine alla sua vita, spargendo intorno a sé infiniti segnali che pure solo il suo fratellino Marco vedrà, forse perché diverso dagli altri.  Il protagonista della storia di Veronesi ha una malformazione che ne rallenterà la crescita, facendolo apparire molto più piccolo di quello che è, molto più delicato di quello che è, eppure capace di mettere in campo una forza inattesa per resistere lì dove la vita gli vieterà di stare. Proprio come un colibrì, Marco resisterà agli occhi di sua sorella che tenteranno di spazzarlo via e così la salverà. Da Fenoglio a Vargas Llosa, da Rushdie a Pirandello, i riferimenti più o meno palesi nel libro si rincorrono nella terza persona usata da Veronesi come se fossero un fiume sotterraneo che muove impercettibile la storia di Marco Carrera, senza che nessuno, a cominciare dal suo protagonista, possa fare qualcosa per fermarla.


Rassegnato a dover essere positivo e concreto, Marco Carrera solca sereno giornate che avrebbero abbattuto un personaggio di Quentin Tarantino. Ed è forse questa la caratteristica che lascia più atterriti, invidiosi e ammirati. Chi avrebbe fatto altrettanto? La sorella suicida, la moglie psicolabile, la figlia persa in un incidente, il fratello che non gli rivolge parola, i genitori malati di tumore che si consumano uno dopo l’altro. E Marco Carrera non batte ciglio. Si rattrista, dice di voler mollare tutto, ma nessuno gli crede. “Spesso tra i sei servitori onesti del nostro cercare (chi, come, quando, dove, cosa e perché) è il quando che separa la salvezza dalla dannazione. Marco Carrera non si è mai posto quella domanda finché non ha avuto la risposta, e solo per questo lui che desiderava stare fermo è riuscito ad avanzare così tanto, così dolorosamente, senza crollare”. Il colibri è un libro ardito, complicato, che sigilla in sé precedenti racconti, articoli, pensieri e paure dell’autore in uno studiatissimo patchwork stilistico e manieristico che ha il pregio di osare in un mondo in cui tutti dichiarano di farlo, senza averne realmente il coraggio. Certo, il rischio è quello di perdere in spontaneità e passione, ma questo ce lo diranno i lettori dei prossimi decenni.




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