Al telefono con Albert Einstein

Vi è mai capitato di sbagliare numero? 

Certo, oggi con lo smartphone che memorizza tutto e tutti, è un ‘esperienza dal sapore vintage, ma un tempo, quando per chiamare qualcuno bisognava comporre il suo numero di telefono, l’errore era dietro l’angolo, allora scattava l’imbarazzo e l’ansia di chiudere la chiamata al più presto per continuare sui binari di quell’ unica idea di vita che difendiamo con tanto ardore. 
E se dietro un numero sbagliato si nascondesse un’opportunità? 



Ne sa qualcosa Mimi Beaufort che, nel saggio romanzato di R. J. Gadney Al telefono con Einstein (pubblicato in Italia da Salani e tradotto da Laura Serra), si trova a digitare per errore il numero di telefono del grande fisico tedesco. Siamo nel 1954 a Princeton, dove l’ormai stanco e vecchio Einstein (aveva 75 anni all’epoca) riceve la telefonata di Mimi e, partendo dall’idea che la creatività è figlia del tempo ‘sprecato’, non solo la trattiene al telefono, ma inizia a raccontarle la sua storia.




Da qui parte la fantasia di Gadney, pittore, scrittore e sceneggiatore britannico (scomparso nel 2018, qualche giorno dopo la prima pubblicazione di questo libro in Inghilterra), per narrarci la storia del fisico più famoso del mondo. Impegnandosi in un importante lavoro di lettura della corrispondenza che Albert Einstein ha scambiato nella sua vita con amici, scienziati e familiari, conservata in gran parte nell’università ebraica di Gerusalemme, Gadney ci offre la possibilità di sbirciare dietro le quinte del palcoscenico che ha visto Einstein diventare un premio Nobel per la fisica, l’inventore della teoria sulla relatività ristretta, nonché della formula più famosa di tutti i tempi (E = mc2), che ha messo per la prima volta in connessione massa e energia

Entriamo così nello studio di Einstein il giorno del suo compleanno: telegrammi ammucchiati sulla scrivania, sui tavoli, persino sul leggio, al posto degli spartiti dei suoi adorati concerti per violino e pianoforte di Mozart e di Bach, “apre il New York Times e vede che nell’editoriale è citato George Bernard Shaw là dove disse che la storia avrebbe ricordato Albert Einstein come un personaggio della statura di Pitagora, Aristotele, Galileo e Newton”. Attorno a lui, articoli che gli arrivano da ogni parte del mondo, da matematici, fisici, archeologi, astronomi e economisti. Tutti vogliono il suo parere, vogliono entrare in contatto con lui, sfiorare la sua luce, approfittare del suo nome, poter dire che il grande Einstein è d’accordo con loro e così rendere inattaccabili le proprie idee. 


Einstein si sente preso d’assalto, un pericolo per la sua altra importante formula Pace = Amore + Silenzio. Pace che gli serve per pensare, per continuare a domandarsi cosa gli sfugga del funzionamento dell’universo. Einstein non ha tempo per il presente, il passato è così promettente e ricco di formule ancora inespresse da abbandonarvisi completamente, alla continua ricerca di verità contrastanti, perché come diceva il suo amico, il fisico Max Born: “credere in un’unica verità e credere di esserne gli unici custodi è la fonte di tutto il male del mondo”.

Chi si aspetta da A telefono con Einstein un viaggio lungo e ricco di colpi di scena non rimarrà deluso, Gadney accompagna il lettore, con scrittura fluida dall’impronta giornalistica più che narrativa, nei luoghi dove il premio Nobel ha vissuto (Germania, Svizzera, Italia, Repubblica Ceca, USA), nelle sue case, fra le braccia delle sue compagne (prime fra tutte Mileva e Elsa) che nulla mai poterono contro il suo unico e vero amore: la ricerca scientifica. Per soddisfare la propria sete di conoscenza, Einstein non esita un secondo a tagliare ogni legame che ne possa rallentare la soddisfazione, moglie e figli sono considerati spesso un intralcio, così come le amicizie, se non sono funzionali a far progredire i suoi studi e i suoi riconoscimenti. 




La fotografia che ci offre Gadney dell’essere umano Einstein è di un uomo assetato non solo di scoperte scientifiche, ma anche e a volte soprattutto di fama e di rivalsa: vuole essere riconosciuto un grande innovatore dalla comunità scientifica, vuole una cattedra in un’università prestigiosa, una bella casa silenziosa, tanti soldi da tenere per sé e qualcuno che sia pronto a condividere i suoi successi, ma che si faccia rapidamente da parte quando Albert ha bisogno di silenzio e musica per pensare. E sebbene Gadney offra al grande fisico la possibilità di esserne almeno consapevole: “E in momenti del genere che vediamo a quale misera specie animale apparteniamo”, sarà dura per gli ammiratori del genio, leggere il contratto che Einstein propose alla moglie Mileva per permetterle di vivere ancora con lui, almeno formalmente, mentre costringeva lei e i suoi figli sul treno per Zurigo, in modo che lui potesse vivere tranquillo a Berlino. Eppure Einstein continuerà a cambiare amanti, amici e università con la stessa febbre della vittoria che anima uno scolaretto che scambia figurine nel cortile di una scuola per completare per primo la sua raccolta, piacevolmente e comodamente inconsapevole degli effetti che quel tumulto ha su chi lo circonda.  

Il pregio di libri come A telefono con Einstein è quello di riuscire a suscitare ammirazione e disgusto per il medesimo grandioso e contraddittorio personaggio che ha modificato per sempre la nostra visione delle forze che muovono l’universo o almeno di uno di quelli che riusciamo a intercettare.



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