Un déjà-lu con Patti Smith e Doris Lessing

Vi è mai capitato di imbattervi in un testo che fin dalle prime righe fa scattare in voi una sensazione di déjà-vu anzi di déjà-lu?

A me è capitato con un piccolo mémoire di Patti Smith sull’ultimo numero della rivista New Yorker. Patti, anzi Patricia come insisteva a chiamarla sua madre, ricorda un evento della sua fanciullezza provocato da un’improvvisa sensazione di bisogno che probabilmente ha tormentato ognuno di noi: desiderare così fortemente qualcosa da essere disposti a tutto (o quasi) pur di ottenerla. Tanto che non c’erano sguardi di rimprovero o gesti di diniego dei nostri genitori a spaventarci, perché quel bisogno era improvvisamente divenuto impellente, vitale, assoluto.

Fin qui nulla di nuovo direte voi e avreste ragione se non fosse che il bisogno imprescindibile di possesso della piccola Patricia in questione era rivolto ad un libro. E non ad un semplice libro per bambini o meglio ancora ad un album di figurine (l’unico oggetto ante anni ’90 paragonabile per desiderio ad un contemporaneo videogame), ma uno spesso primo volume di un’enciclopedia con la copertina color crema ed un grosso numero “1” sul dorso ad indicare che quello era solo l’inizio di una sete di conoscenza che evidentemente Patricia aveva già ben sviluppata da piccola e che la portava istintivamente a cercare nuove voci, nuovi lemmi per descrivere se stessa e il mondo che aveva intorno.

L’ardore di questo desiderio e la mancanza di soldi disponibili, portò Patricia a rubare quel librone, nascondendolo dietro la zip della sua giacca di tweed. Il tentativo di far prevalere il suo bisogno sulla "puerile questione finanziaria" non andò a buon fine e Patricia tornò a casa rosa dal senso di colpa e dalla mancata realizzazione del suo bisogno. Ciononostante quel desidero così atipico per un bambino colpì a tal punto sua madre che il giorno dopo le fece trovare quel libro ad aspettarla, rinunciando a qualche scatola di piselli per la dispensa.

Il mio pensiero è allora andato ad un altro piccolo mémoire, questa volta della scrittrice Doris Lessing, che al ritorno da un viaggio in Africa, si trovò a raccontare agli studenti di una ricca ed esclusiva scuola britannica cosa aveva visto. Lo stesso desiderio di conoscenza, la stessa curiosità della nostra piccola Patricia, amplificato da una situazione di carenza diffusa, di cibo, di acqua, di futuro, ma non di curiosità, di vorace necessità di sapere, di immaginare, di conoscere, condensati nel desiderio di qualche libro in più da poter leggere, su cui poter crescere. Il racconto non toccò in alcun modo la platea di ragazzi che ordinatamente era stata allineata per ascoltare un premio nobel. Proprio non riuscivano ad immedesimarsi in quell’astruso vorace bisogno di conoscenza (loro che potevano attingere ad essa in ogni momento e che sempre meno ne approfittavano), suscitando in Doris Lessing più di un interrogativo sul futuro dell’emisfero settentrionale del mondo, intrappolato sempre di più in un involucro di mediocrità sospinta dalla mancanza di curiosità. Harold Bloom, nella prefazione di un suo famoso libro dedicato al Genio, chiedeva al suo lettore se avrebbe mai accettato una sedia sbilenca ed un tavolo tarlato per consumare i suoi pasti. Sicuramente no, rispondeva Bloom per il suo lettore e allora perché questo era disposto ad accettare trame sbilenche e pseudo letteratura tarlata per sostenere la sua mente? Perché si era deciso che la continua proiezione dell’essere umano al miglioramento di se stesso era divenuto fuori moda, anzi da dissuadere, boicottare, affogare in uno stagno di presunta e avida normalità?

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Commenti

  1. Ma dove li scovi questi articoli?
    Comunque mi è servito a rivalutare doris lessing, i cui libri non mi hanno mai fatto impazzire e soprattutto mi è piaciuto molto il tema della voracità necessaria oggi a chi vuole continuare a leggere.
    Irene

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