Sogni o realtà? Parola a Jay Gatsby

Non c’è lotta, anche se i sogni saranno di qualcun altro, diventeranno la nostra migliore realtà. Parola di Jay Gatsby. 

Un famoso linguista, filologo, critico letterario, nonché professore universitario di fama internazionale e per questo in Italia velocemente dimenticato, Salvatore Battaglia (fondatore del grande dizionario della lingua italiana della UTET), ha definito i romanzi di Elsa Morante splendide, ingombranti e irrinunciabili carrozze. A guardarle dal di fuori, possono spaventare il lettore moderno. Rumorose, scomode, apparentemente lente, prive di ammortizzatori emozionali, ma senza di esse che viaggio avventuroso sarebbe? 
Mi perdonerà Battaglia se userò la sua idea per un altro autore che invece di carrozze costruiva splendide decapottabili, color crema e con i sedili in pelle verde, come quella che il suo personaggio più famoso, Jay Gatsby, sfoggiava nelle sue corse vietatissime  (per tutte tranne che per lui) fra i pilastri della sopraelevata di New York. Parliamo di Francis Scott Fitzgerald e dei suoi testi dal ritmo alternato e morbido, come quello impresso dall'auto di Gatsby, in grado di regalare al lettore lente carrellate su chiunque non fosse il protagonista della storia, per poi accelerare, nervoso, inatteso  e invadente tra le emozioni più nascoste dei personaggi. Reggere l’andatura di Fitzgerald può non essere semplice e lo sa chi si è cimentato con quel piccolo ma densissimo libro pubblicato nel 1925 (Il Grande Gatsby) e salutato da T.S. Eliot come “il primo passo avanti per la narrativa americana dai tempi di Henry James”.

La storia è semplice e certamente non nuova, l’idealizzazione di un amore mai consumato, lo struggimento del protagonista, il suo tentativo di costruirsi una nuova vita sulla sottilissima e per questo meravigliosa possibilità di rivivere il passato, migliorandolo. Ma la storia non conta o meglio serve solo all'autore per farci salire sulla sua splendida macchina color crema, illudendoci che sarà un viaggio breve e dalla meta conosciuta. Ci affideremo a lui, cullati dal calore dei sedili verdi, appena riscaldati da una giornata di maggio e dalle giuste coppie di aggettivi a massaggiarci la testa, dalle sublimi carrellate di emozioni e cappelli, degni dei migliori schizzi di Boldini, dalla certezza che con Fitzgerald, come con Jay Gatsby, saremo sempre al sicuro, perché nessuno oserà mai fermare la sua storia. Sarà allora che il narratore cambierà marcia, di scatto, senza preavviso, costringendo il lettore a reggersi con forza, rischiando di graffiare con le unghie i sedili di pelle verde e con essi le proprie idee sui personaggi. Non sarà un viaggio facile e spesso il suo andamento a scatti invoglierà una facile discesa alla ricerca di un altro libro e un’altra storia. Non rinunciate però, se volete di più, se volete la vita di sogno e quella reale insieme, se volete tutto e ancora di più, resistete e leggete. E se proprio sarete costretti a cedere, consideratela solo una pausa e riprovate qualche anno più tardi, magari quando la vita vi avrà costretto a desiderare un po’ di più. Buona lettura.


P.S. vi segnalo una recente traduzione di Tommaso Pincio de Il Grande Gatsby con prefazione di Sara Antonelli (minimum fax, 2011).


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