Gli elfi di Amazon. E se il 2013 fosse stato troppo generoso?
Usciti fuori dai bagordi del
periodo natalizio, proviamo a mettere il naso nel 2014 e scopriamo che puzza
ancora più del 2013, di crisi. E con la crisi bisogna risparmiare, anche sui
regali di Natale, lo avrete fatto un po’ tutti, il riciclo, il “pensierino”, magari
una piccola rivincita del libro, che anche usato non fa mai male, e soprattutto
internet. Il periodo che va dal 15 dicembre al 6 gennaio è la gallina dalle
uova di diamante per i grandi portali di vendita online, primo fra tutti Amazon
che in un paese europeo di media grandezza riesce a smistare fra i
cinquecentomila e i tre milioni di oggetti al giorno.
Vi ricordate I predatori
dell’arca perduta? Il film che diede il via alla saga di Indiana Jones? Bene,
alla fine del film l’arca finisce in un gigantesco magazzino del governo
americano, insieme a migliaia di altri tesori secretati al popolo per il suo
bene. Probabilmente Jeff
Bezos (fondatore di Amazon e a capo di un colosso globale da 16 MLD di
dollari di fatturato solo nel secondo semestre del 2013) ha realizzato prima di
molti di noi che stava a lui sostituirsi ai singoli Stati nella “cura” dei
suoi cittadini/consumatori. Per farlo ci ha abituato ad avere a un costo
più basso e in un tempo ridotto tutto ciò
che volevamo (dai libri, ai DVD, dal calendario di Barbie al cibo per cani
allergici) con un semplice click. Ci è piaciuto e ci è convenuto, ma questo
trionfo della globalizzazione ammantata d’innovazione può diventare faticoso se
immaginiamo di passare dall’altro lato del cavo e di trovarci in una delle
decine di magazzini per lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti Amazon.
Diffusi
in tutta Europa, grandi come decine di stadi di calcio (uno dei più grandi in
Galles misura 74mila metri quadrati per circa 20km di lunghezza), sono il luogo
dove migliaia di “elfi natalizi” si industriano, per turni minimi di
dieci ore al giorno e obbligo di straordinari, per selezionare, impacchettare e
inviare a chi ha appena cliccato “aggiungi al carrello” l’oggetto desiderato. Corrono
su e giù per quei 20 km, con la paga minima possibile, comandati da uno
scanner che decide se il loro lavoro è svolto correttamente e trovano anche
il tempo per un desiderio. Desiderano di poter continuare a lavorare a quel
modo, perché la maggior parte di loro è assunta a termine e non ha alternative.
Negli ultimi mesi, dall’articolo
di Carole
Cadwalladr sul The Observer, al video di Adam Litter sulla BBC,
all’articolo di Jean-Baptiste Malet su Le Monde diplomatique, la stampa
europea sta cercando di farci vedere ciò che il premuroso Bezos ha obliato per
noi. Ma basterà a non farci cliccare “aggiungi al carrello” e se questi posti
di lavoro venissero cancellati, qualcuno ne creerebbe altri appena un po’ più
decorosi nella una volta ricca Europa, patria dei diritti dei lavoratori? E noi
saremmo disposti ad aspettare un giorno in più per far prendere una boccata
d’aria agli elfi di Amazon?
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