Se è necessario un selfie per emozionare se stessi – libertà di espressione a confronto: Snapchat vs. Facebook
Segnaposti esistenziali. È questo
che sarebbero diventate le nostre presenze sul social network più famoso del
mondo (Facebook) secondo Nathan Jurgenson, sociologo ed esperto del
mondo digitale. Su Facebook – sostiene Jurgenson nell’articolo di Alessandro
Longo - ci sei perché ci devi essere, per dimostrare di esistere, per
possedere un’identità che venga riconosciuta all’esterno. Ma proprio il
successo di questo strumento d’interconnessione di massa, che lo scorso 4
febbraio ha festeggiato i suoi dieci anni di vita con il suo miliardo e
duecentotrenta milioni di utenti medi mensili, ne starebbe attivando la
crisi, portando soprattutto i più giovani (il segmento core di Facebbok) a spostarsi
verso altri lidi virtuali dove si avrebbe una maggiore libertà di
espressione (Snapchat, Ask.fm, We Heart it, Instagram). Accanto quindi alla
propria vista convenzionale e pubblica su FB, soprattutto agli under 30, piacerebbe
attivare altre possibili viste di se stessi rivolte o a un gruppo di
utenti ridotto e conosciuto con cui chiacchierare liberamente dei temi che più
li preoccupano (Snapchat) oppure a uno o più gruppi anonimi davanti ai quali
ci s’impegna a dire la verità e, perché no, a sottomettersi a ogni forma di
pegno che venga inflitto (Ask.fm). Sempre più
spesso capita di limitarsi alle sole immagini, abolendo le parole. E allora Instagram con i suoi selfie
(ossia autoscatti di se stessi da condividere in rete) o We heart it con le sue foto emozionali.
La vista di Jurgenson,
che essendo anche collaboratore di Snapchat, potrebbe essere un po’ di parte,
apre nuove possibilità alla netnografia (neologismo che combina internet
ed etnografia), metodo di analisi che consente a ricercatori come Jurgenson di
immettersi/partecipare alle comunicazioni on line degli abitanti dei social
networks per estrarne informazioni utili a sviluppare i social networks stessi
e perché no, i prodotti con cui intervallare il flusso emotivo dei naviganti. Non
ci sorprenderemmo se da qui a pochi giorni fosse pubblicata un’altra vista,
magari di un etnografo che collabora con FB, in controtendenza. Che questa
variante esista o meno sembra diventare sempre meno importante, perché iniziata
a fluire sulla rete, utilizzando i canali e le modalità più adatte a interagire
con gli utenti che si vuole recuperare, ha buone chance di diventare in ogni
caso reale. Viene alla mente Stephen Glass,
giornalista del prestigioso New
Republic, che inventava le sue storie perché riteneva che la realtà non
fosse abbastanza interessante. Ebbene aveva ragione. I suoi articoli aprivano
possibilità al lettore di entrare in così tante viste della realtà e in
altrettante emozioni da rendere il quotidiano mondo corporeo assai noioso. I
suoi lettori divennero dipendenti dalla vista di Glass e quando si scoprì che
era falsa, in molti soffrirono per la perdita di quelle incorporee e briose
realtà più che per la bugia in esse nascosta.
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