SPQR non è solo un’offesa
Roma è afflitta in tempi recenti
da persone ed eventi che ne dilaniano l’immagine, tentando di consolidare
l’idea che SPQR sia soltanto l’acronimo di un’offesa a chi vive questa città
(Sono Porci Questi Romani). Non dobbiamo dimenticare però che, a dispetto di
quanto riporta anche il New York Times, oltre ai romani incapaci di custodire le bellezze della propria città,
pronti a tutto pur di sollevare l’asticella degli euro sottratti alla comunità,
ci sono anche romani che questa
tumultuosa e disordinata signora, un tempo meraviglia di un Impero, ancora amano e sono pronti a difendere.
Creato proprio da Cesare, poi
saccheggiato, bruciato e ferito dalla storia, ma ancora lì a ricordare che SPQR
non è solo un’offesa ma anche un’idea che ci piaccia o meno è stata la base di
tutte le strutture sociali e politiche dell’Europa Occidentale (e non solo).
SPQR sta per Senatus Popolusque Romanus
(Il Senato e il Popolo di Roma) ed è con quel popolo che sollevava gli occhi
alle colonne illuminate, convinto che si possa ancora fare qualcosa di buono
per questa città, che io mi schiero. A quel popolo i politici romani dovrebbero
guardare. È più vasto di quello che credete.
Il lettore diffidente non deve
credere a me, ma lo invito a passeggiare in una notte umida e rovente di fine
luglio per la città e osservare, oltre ai monumenti anche le persone. Ci
saranno quelle nervose e urlanti che strombazzano dall’alto delle loro bighe-fuoristrada
o dai loro cavalli-motorini, pronte a falciare il turista incerto che osi
rallentare la loro corsa per uscire fuori dalla città, ma ci saranno anche
quelle che procederanno lentamente e a piedi, pronte a gioire di un pezzetto
della loro città che per una volta non è sotto i riflettori per ruberie e
vessazioni, ma per un sapiente lavoro di recupero.
Ci riferiamo ai Fori Imperiali,
una delle grandi meraviglie artistiche della Capitale, che molte giunte hanno
cercato di trasformare in qualcosa in più di una visita secondaria rispetto a
quella del vicino Colosseo. Ma girare
per rovine di duemila anni fa non è cosa facile a meno di avere una forte
immaginazione e possenti nozioni dell’architettura dell’Impero. Senza questi
requisiti, si rischia di sentirsi spersi fra mucchi di resti addossati gli uni
agli altri, piante di capperi e gramigne varie, un po’ di gatti e tanto, tanto
caldo. Si pensa a un bel gelato e si cerca l’uscita più vicina, perdendo
un’occasione.
Fori di Traiano da cui parte la visita a quello di Cesare |
Senato Romano - Fori di Cesare |
Ciò che rassicura è che in mezzo a gruppetti di americani,
tedeschi, giapponesi e cinesi, avidi di assorbire ogni immagine nei loro
smart-phone e speriamo anche ogni informazione su come vivevano i romani
duemila anni fa dalle loro cuffie, ci
sono anche molti romani, curiosi e soddisfatti nel vedere valorizzato un pezzo
della città che, giustamente, sentono anche loro. Nei cinquanta minuti del
giro in notturna nel Foro di Cesare, scopriamo
come funzionava una banca, cosa si studiava a scuola, come si costruiva un
tempio, come ci si comportava in un bagno pubblico e cosa voleva dire riuscire a entrare nel Sanato di Roma.
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