Gli snob del calcio e il popolo del libro: come invertire un punto di vista secondo Ian McEwan


Siamo arrivati al 17°. Non so se Ian McEwan, scrittore inglese classe’48, sia o meno superstizioso e forse poco importa, visto che per gli anglosassoni è il 13 il numero sfortunato. Fatto sta, che il diciassettesimo romanzo (Nutshell) di uno dei più prolifici e amati romanzieri britannici (suoi romanzi come Il giardino di cemento, Cani neri, Espiazione e il mio preferito per ritmo e analisi introspettiva dei personaggi: Sabato) è pronto a creare parecchio scompiglio fra i suoi lettori e non solo.


Il narratore che ha fatto della ricerca sul campo e della documentazione pre-scrittura una meticolosa ossessione (per costruire il personaggio di Henry Perowne, il medico protagonista di Sabato, è diventato l’ombra di un neurochirurgo londinese per due anni), sta per sorprendere tutti con un romanzo scritto dal punto di vista di un feto.

Sì, avete capito bene. A memoria, nessuno aveva osato tanto, perché un feto, sebbene capace in fase di sviluppo avanzato di percepire la vita che lo circonda, non è in grado di capire cosa stanno facendo le persone che sono intorno alla sua futura madre, tanto meno di decodificarne le parole, figuriamoci di raccontarle al lettore. Eppure sta proprio in questo il guizzo di genio e di coraggio di uno scrittore affermato che decide di abbandonare la via più battuta per avventurarsi in un territorio sconosciuto e inconoscibile, a prova di qualsiasi tentativo di documentazione preventiva. Cambiare metodo all’età di 68 anni non è da tutti e solo il tentativo merita un elogio, scatenando la curiosità di leggere questa messa in discussione di se stessi che è uscita in tutte le librerie UK il 1° settembre.


Al centro della narrazione c’è Trudy la ‘portatrice’ del feto protagonista del romanzo e i rapporti con due fratelli: un romantico, sofisticato e disilluso editore di poesia (John il marito di Trudy) e Claude, irruente e rozzo fratello di John, dotato di una carica sessuale inarrestabile, almeno dai racconti terrorizzati del feto che si trova spettatore impotente dei rapporti sessuali fra Trudy e Claude.

In un’intervista al Guardian Ian McEwan ha detto di aspettarsi una valanga di critiche (l’espressione ben più eloquente del romanziere è stata: «I’m going to get such a kicking») non solo per l’esperimento tentato, narrare tutto dal punto di vista di un essere vivente che non può avere un punto di vista, ma per ciò che racconta: una storia shakespeariana, fatta di tradimenti, cupidigia e prevaricazione che tenta di rivelare al lettore cosa si nasconde dietro le apparenze, le convenzioni e le barriere sociali con cui, possiamo negare quanto vogliamo, ci sentiamo tanto a nostro agio.


E se spesso i personaggi di McEwan vengono accusati di essere l’espressione di uno snobismo culturale di cui l’autore sarebbe un sostenitore, dividendo nettamente i ‘buoni’ (amanti della cultura, del pensiero libero e della poesia) dai ‘cattivi’ (arrivisti, dominati dal Dio denaro, capaci solo di gonfiarsi i muscoli e infiammarsi per una scommessa sull’esito di una partita di calcio), è lo stesso romanziere a ribaltare questo punto di vista: «Spesso mi trovo di fronte a parole come snob o elitarismo, parole che sono usate per descrivere persone che leggono ‘troppi’ libri e parlano solo di arte e poesia. Non ne comprendo la ragione. Per me leggere i libri e parlare di poesia è un piacere, nient’altro [...] Quando osservo le persone che si infervorano per una partita di calcio e passano la pausa caffè a parlare dei risultati dei loro calciatori preferiti, non penso che siano degli snob. […] Noi cerchiamo la fonte del nostro piacere in relazione alla nostra personalità e al nostro background. Io da piccolo vivevo in una casa senza libri, non c’era nessuno che parlava di poesia o di filosofia. Perciò penso che la mia ribellione adolescenziale sia stata scegliere una strada diversa da quella dei miei genitori: la strada dei libri”.   

Ecco gli snob del calcio sono serviti. Sono loro a ghettizzare il popolo dei libri. Ian McEwan dixit.


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