A Milano Herzog crea uno spazio per cultura che sfida ogni ombra di pessimismo

Per l’ultimo post del 2016 prima della pausa natalizia, ci spostiamo nel regno di Herzog. Non parliamo del romanzo di Saul Bellow centrato sulla vita e soprattutto sulla mente di Moses E. Herzog, intellettuale in piena crisi esistenziale che ha sempre trovato nell’instabilità la ‘solida’ base per la sua esistenza, sebbene i luoghi creati da Jacques Herzog siano portatori di solida instabilità, intesa come dinamicità evolutiva. 
Herzog & de Meuron
Architetto, anzi archistar idolatrata e imitata in tutto il mondo (lo studio che Herzog ha fondato insieme a Pierre de Meuron a Basilea è oggetto di pellegrinaggio da parte di giovani architetti e appassionati del design), Jacques Herzog ha avuto l’incarico, cinque anni fa, di riempire uno squarcio nella pancia di Milano che risaliva ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. 


Siamo a Porta Volta, a pochi passi dal quartiere storico di Brera e a poche centinaia di metri dalla modernissima piazza Gae Aulenti, segno della rinascita di un’intera area della città in occasione dell’EXPO. È qui che è sorta la nuova sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli: due piramidi di 7 piani (di cui due sotterranei) di cristallo e cemento per far posto a 10 chilometri lineari di archivi, 4.200 metri quadrati di librerie, sale per le arti e la lettura, uffici. Un’«immensa piazza contemporanea accessibile alla cittadinanza e alle sue idee» come l’ha definita la stessa Fondazione. Un luogo aperto a tutti, dove le persone possono incontrarsi e confrontarsi, senza preconcetti, con trasparenza, come quella del vetro che Herzog e de Meuron hanno disseminato sulle pareti dell’intera struttura.

Per l’inaugurazione delle due piramidi di Herzog & de Meuron (martedì 13 dicembre), i milanesi si sono messi in fila per ore, pur di poter ammirare dall’interno l’edifico, partecipando anche all’evento Voices and Borders, cinque giornate di letture, eventi e incontri. Da Piero Gobetti a Mahatma Gandhi, da Anna Kuliscioff a Salvador Allende, da Ernesto Che Guevara a Michail Bakunin e Malcolm X, cemento e cristallo hanno iniziato ad assorbire la materia di cui sono fatte tutte le culture: storie. 

Tristi, gioiose, incomplete, perse, ma pur sempre storie. Servono a risvegliare i lobi frontali di ognuno di noi evitando di cadere facile preda di quello che lo stesso Herzog definisce «un populismo che vuole solo annebbiare le menti e che vorrebbe identificare la cultura con il divertimento, come se si trattasse di un prodotto da vendere e consumare senza stare tanto a pensare». 


Come proposito personale, mi impegno a iniziare il 2017 con una visita a questo luogo, perché a volte i passi fisici possono portare a passi mentali ben più ampi.



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