Rosencrantz e Guildenstern sono ancora vivi. Parola di Harry Potter.



Cinema e Teatro incrociano spesso le spade, cercando di dimostrare che solo a uno dei due spetta la supremazia sulle emozioni del pubblico. È una sfida che prescinde dagli incassi o dalla fama (il Cinema avrebbe già vinto da decenni), il perno della lotta qui è più profondo, in gioco ci sono le anime degli spettatori che il Teatro ha sempre dichiarato di saper sfiorare con una delicatezza e una ‘verità’ che al Cinema manca. Colpa dello schermo che separa attori dal pubblico, della possibilità di rifare una scena mille volte prima di esporsi al giudizio altrui, dell’assenza di rischio su cui invece il Teatro si fonda. Non ci interessa sapere chi vincerà la battaglia, anche perché è auspicabile che non abbia mai fine. Da essa sono nati testi che hanno impressionato, in senso fotografico, la nostra corteccia celebrale per sempre. 


Uno di questi è Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard (‘britannicissimo’ drammaturgo nato nell’ex Cecoslovacchia nel 1937 con il nome di Tomas Straussler), scritto nel 1964 partendo da due personaggi minori dell’Amleto di Shakespeare. Ve li ricordate? ‘Amici’ del tormentato principe danese, vengono incaricati da re Claudio (che ha ucciso il padre di Amleto e sposato sua madre Geltrude) di indagare sullo stato mentale del principe. Finiranno assassinati in Inghilterra, dove erano stati inviati per uccidere Amleto. 
Personaggi secondari del dramma shakespeariano, vengono liquidati dal bardo nell’Atto V, scena II con un inappellabile: «Rosencrantz e Guildenstern sono morti» È da questa battuta che Tom Stoppard parte per creare un testo sospeso fra il teatro pirandelliano e beckettiano, dove la parola diventa protagonista dei voli semantici dei due smarriti personaggi. Ros e Guil (così li ribattezza Stoppard) diventano osservatori della storia di Amleto che nel loro mondo diviene puro fondale rispetto alla ricerca di un senso nella loro esistenza, decisi a non cedere al destino che tutti, spettatori compresi, conoscono fin da quando si solleva il sipario: la loro morte. Per questo Ros e Guil analizzano e sminuzzano ogni loro battuta, intrappolando lo spettatore in una realtà dove i giochi di parole, il surreale e l’anacronistico dominano e le risate sincere si fondono con domande a cui, i protagonisti assieme al pubblico, provano a dare una risposta che li possa allontanare dal loro destino. 



A distanza di cinquant’anni abbondanti dalla prima messa in scena del testo di Stoppard (nel 1966 in Scozia) Rosencrantz e Guildenstern sono morti è di nuovo vivissimo a teatro a Londra (all’Old Vic fino al 29 aprile) con Daniel Radcliffe (il protagonista di Harry Potter) nei panni di Ros e Joshua McGuire in quelli di Guil. Michael Billington è andato a vedere lo spettacolo in anteprima per il Guardian, riscoprendo ancora una volta l’humor irrefrenabile del testo, che fa della morte un concetto discutibile: «Death is not anything… death is not… it’s the absence of presence, nothing more». Essa è per tutti, ma non per coloro (Ros e Guil) che più di tutti hanno il suo marchio impresso nei loro nomi. Così Stoppard ci fa intravedere l’orlo di un burrone emotivo da cui non è così difficile saltare: il destino che gli altri ci impongono è tale solo se lo accettiamo. Grazie al loro ostinato, ottuso rifiuto, Rosencrantz e Guildenstern hanno ottenuto un testo tutto per loro, che li condurrà alla morte in ogni caso, ma attraverso un percorso assai più lungo e interessante di cui saranno protagonisti. Non è la pratica che hanno usato molte delle star di Hollywood per diventare tali? Il Cinema ruba spesso in casa del Teatro. 




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