Più libri.., più liberi?

Dicembre. Il mese delle feste per antonomasia. Basta nominarlo e subito si pensa al Natale, alle vacanze, ai dolci, allo shopping selvaggio, ai regali sbagliati ricevuti e donati, alle persone sbagliate a cui li abbiamo offerti e alle speranze che ogni 31 dicembre ci obblighiamo a riporre nell’anno successivo e che puntualmente cerchiamo di dimenticare per i successivi dodici mesi. Dicembre è però anche il mese della fiera della piccola e media editoria di Roma. Un appuntamento che aspetto con ansia per diventare finalmente anch’io, almeno una volta all’anno, un maniaco dello shopping…di libri ovviamente. Di libri diversi, oserei dire, ossia stampati da editori spesso irraggiungibili e scritti da autori amabilmente trascurati. Sarà che mi è stato insegnato di tifare sempre per il più debole, oppure che molti dei libri a cui tengo particolarmente sono state inattese scoperte di autori ignoti, a lungo ignorati dai grandi marchi editoriali, ma ho sempre tifato per queste iniziative. L’edizione che si è chiusa lo scorso 8 dicembre è stata la nona edizione, con più di 450 case editrici indipendenti per un totale di circa 16.000 i titoli in esposizione. 16.000 libri. Non so cosa ne pensiate, ma è un numero che all’inizio ho letto con ammirazione, poi con lussuriosa voluttà, fino a giungere ad un indefinito stato d’ansia misto a terrore. Si parla spesso del numero di lettori in Italia (troppo pochi), soprattutto se confrontato con il numero di libri pubblicati ogni anno (davvero troppi), ma se pensare che esistano ancora editori piccoli ed indipendenti rincuora un lettore affamato di nuove voci e uno scrittore bisognoso di un po’ di spazio per la sua, dall’altro confrontarsi con un questo numero esorbitante di volumi pubblicati dalla piccola e media editoria in Italia (anzi solo da quella intervenuta alla fiera) non può che farmi preoccupare e dubitare.

Pensiamo davvero che pubblicare tanto renda più liberi nella scelta i lettori? Non sarà forse che l’industria editoriale punta sempre più sul numero, sulla quantità e sull’eterogeneità, pur di “imbroccare” prima o poi un best seller? Ma in questo modo non si rischia seriamente di affogare un buon libro in mezzo a migliaia di pessime idee? E come potranno i lettori orientarsi in questo convulso sistema? Vedere centinaia di persone girare senza meta in mezzo ad un carosello di stand, marchi e proposte, fermandosi con la stessa curiosità ed incertezza davanti ad editori “veri” e a “pagamento” (ossia editori che chiedono corposi contributi in denaro ai loro autori e che incredibilmente sono stati nuovamente ammessi alla fiera), cercando così di condensare un anno di mancate visite in libreria in un paio d’ore di acquisti casuali, può far nascere qualche fortuito nuovo lettore e questo è un bene, ma non rischia di farcene perdere molti futuri?

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