La letteratura americana si celebra – assegnati i National Book Awards 2013
Waldorf-Astoria New York |
Waldorf-Astoria. Un nome che fa
subito pensare a New York e alla Fifth Avenue (una volta era lì, ora è in Park
Avenue), al glamour di Marilyn Monroe che vi abitò nel 1955, alla musica di
Cole Porter che citò il Waldorf e la sua insalata nella sua famosissima canzone
You’re the Top del 1934, alle prime trasmissioni televisive americane
(nel 1926 la NBC vi trasmise il suo primo programma) o ai balli delle
debuttanti che si tenevano proprio al Waldorf per presentare giovani ragazze dell’alta
società newyorkese. I più romantici avranno subito pensato all’hotel dove non
si incontreranno i due protagonisti del film Serendipity o alla stanza
dove ha alloggiato un Al Pacino non vedente per il suo Scient of Woman. Gli
altri avranno pensato a un costoso e storico hotel della grande mela, dalla
moquette polverosa e dai lampadari scintillanti. Tutto esatto, ma il
Waldorf-Astoria è anche il luogo dove si tenne la prima premiazione dell’NBA
(che non sta per National Basketball Association, ma per National Book Award), uno dei più
importanti premi letterari del mondo anglosassone, nato nel 1950 «to celebrate
the best of American literature, to expand its audience, and to enhance the
cultural value of great writing in America», ossia per celebrare il meglio
della letteratura americana, aumentare il numero dei suoi lettori, accrescere
il valore culturale della scrittura di qualità in America. Il premio (che ha anche un’importante sezione
dedicata alla poesia, oltre a quelle per la narrativa) è andato negli anni ad
autori come Saul Bellow, Elizabeth Bishop, William Faulkner, Allen Ginsberg, Bernard
Malamud, Marianne Moore, Flannery O’Connor e Gore
Vidal, solo per citare alcuni fra gli scrittori e poeti più rappresentativi
del Novecento ed è sempre stato caratterizzato da una particolarità: un
premio per gli scrittori assegnato dagli scrittori. Fino al 2013, infatti, sono
stati gli autori selezionati dalla
fondazione NBA fra i più rappresentativi
nelle varie sezioni del premio a decidere quale autore meritasse il National
Book Award, niente critici letterari, editori o esperti del settore, solo
scrittori, perché, come ci ricorda uno dei finalisti all’NBA di quest’anno
Rachel Kushner, addentrarsi in una nuova storia è come tentare di smuovere
l’inamovibile, si entra in un’imponente empasse, e mentre chiunque altro
dopo un po’ rinuncerebbe, lo scrittore persevera e persevera. Questo è stato
l’anno del cambiamento per l’NBA, con giurati scelti anche fra librai, bibliotecari
e critici letterari. Il risultato è stato una cinquina di finalisti per la
sessione fiction che, oltre alla Kushner con il suo The
Flamethowers (Scribner/Simon & Schuster, in uscita in Italia da
Ponte alle Grazie con il titolo de I Lanciafiamme), storia ambientata
negli anni settanta a New York, con impensabili escursioni nel mondo della
politica italica, ha messo a confronto Jhumpa Lahiri (The Queen of
Realism secondo la critica statunitense) con il suo The Lowland
(storia di 4 generazioni fra l’India e il Rhode Island, pubblicato in
Italia da Guanda con il titolo de La
Moglie), George Saunders che, con la sua terza persona
ventriloqua, sempre più dinamica e inattaccabile ci offre una nuova raccolta di
racconti dal titolo Tenth of December (Random House, pubblicato
in Italia da minimum fax Dieci Dicembre),
Thomas Pynchon che, a cinquant’anni esatti dalla pubblicazione di V,
ci offre il suo settimo romanzo (Bleeding Edge, in corso di
pubblicazione in Italia con Einaudi), un’analisi della società americana post
9/11 con tutte le sue paranoie, attorcigliate in un sistema narrativo che
ricorda L’incanto del lotto 49. E per finire l’autore che lo scorso
20 novembre ha vinto il premio: James
McBride
James McBride |
(compositore, sassofonista e scrittore, che forse conoscerete
per il suo saggio Il colore dell’acqua – Rizzoli) che, con il suo
romanzo The
Good Lord Bird (storia di uno schiavo nel Kansas del 1857 in chiave
immaginifica e caricaturale), sfida i suoi lettori sicuro che farli ridere e
conoscere al contempo non sia un’impresa impossibile. Pur avendo tifato per
George Saunder e per Jhumpa Lahiri, siamo pronti ora a leggere tutti e cinque i
finalisti, sperando che qualche editore italiano osi proporci anche la
traduzione di qualche autore della sezione poetry, altrimenti avremo una
scusa in più per andare a prendere un aperitivo al Walforf, magari solo davanti
al Waldorf, visti i prezzi, per immaginarcelo pieno di storie ancora da
raccontare e da leggere.
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