Henri Cartier-Bresson: Il grado zero di un viso. Un libro raccoglie quarant'anni d’interviste.
Il 30 aprile è uscito in libreria un
libro molto particolare. Non è un romanzo e non è un saggio, non è un mémoire e
non è una raccolta di poesie, ma ha al suo interno frammenti di tutte queste
forme di espressione. Parliamo di Vedere è tutto
(edito da Contrasto, collana Logos
Lezioni di fotografia, 2014) raccolta delle interviste rilasciate da Henri
Cartier-Bresson tra il 1951 e il 1998. Fotografo, disegnatore, prigioniero
evaso, feticista dello sguardo, uno dei pochi artisti dell’immagine a poter
dire di aver visitato la propria mostra postuma (al MoMA nel 1946 quando era
stata dato per disperso) quasi sessant’anni prima di morire “davvero” all’età di
novantasei anni.
Parlare di Henri Cartier-Bresson (HCB) è parlare della storia della
fotografia in generale e della street
photography
in particolare, ma vuol dire soprattutto tentare di entrare nella sua ricerca
del «grado zero di un viso», di cosa, citando Roland Barthes, si nasconde sotto
almeno quattro diversi livelli di percezione: quello che il soggetto crede di
essere; quello che vorrebbe si credesse che fosse; quello che il fotografo
crede che il soggetto sia; e per finire quello che serve al fotografo per far
mostra della sua arte. A questa complessa e infinita ricerca HCB non si è mai
sottratto, cercando di passare inosservato per poter osservare senza
pregiudizi, pur sapendo che, «a volte, bisogna rinunciare a capire e a
spiegare. Si deve guardare e basta.» Magari con la fidata Leica con l’obiettivo
da 50mm (e non con il 35mm che fa pensare a ogni fotografo di essere il
Tintoretto)[1] per catturare la frazione di tempo che
si è rotta proprio davanti a voi, come una provetta di emozioni montate al
rovescio, non perché meritevoli, ma solo incredibilmente fortunati.
A questo tipo di epifanie io credo
ancora, le aspetto e qualche volta le incontro. Sulla mia scrivania campeggia
per i momenti bui Il silenzio interiore – I ritratti di Henri
Cartier-Bresson (edito da Contrasto nel 2006), raccolta di ritratti di HCB
di cui il mio preferito è quello di Ezra Pound. Mi sembra di averlo lì, in quel
momento, con i suoi capelli arruffati,
covoni candidi distrutti da un tornado, e i suoi occhi pronti a scavarti
dentro, a osare ribaltare sull’obiettivo di HCB la sua stessa ricerca. A fine
settembre una grande
mostra retrospettiva di HCB arriverà a Roma al Museo dell’Ara Pacis, dopo essere stata
inaugurata a Parigi al Centre Pompidou a dieci dalla scomparsa di questo
disegnatore di umane tensioni. Non vediamo l’ora di vederla, senza leggere i
cartellini vicino alle opere e senza cuffie nelle orecchie, mi raccomando, lui
non avrebbe apprezzato.
[1] Si fa riferimento
a un commento di HCB apparso in articolo di Pierre Assouline (Cartier-Bresson _
L’occhio nascosto) su L’Espresso del 30 aprile
2014.
Commenti
Posta un commento