Nixon contro Frost: i media trasformati in armi di distruzione di massa.
Il nome di Richard Nixon,
presidente degli USA dal 1968 al 1974, è associato dall’immaginario
collettivo a uno degli scandali politici più famosi e famigerati di
oltreoceano: il Watergate.
Il tentativo dei Repubblicani di spiare con microfoni nascosti il quartier
generale dei Democratici, costò a Nixon la presidenza e offrì una succosa
storia ai media su cui per anni si disse tutto e il suo contrario, senza mai
riuscire a ottenere da Nixon l’ammissione della sua colpa. Il presidente lasciò
l’incarico “per il bene del Paese” e per evitare conflitti inutili, ricordando
tutti i suoi grandi successi e accusando la magistratura e i media di essere
stati al servizio dei Democratici.
La storia sembrava ormai conclusa
senza un colpevole e certamente senza qualcuno che pagasse per i suoi
errori (Nixon si era trasferito in una splendida villa in California e il
Presidente successivo, nonché suo ex vice presidente, Gerald Ford, gli aveva
anche garantito un’amnistia), come spesso accade negli scandali politici nostrani.
Ma tre anni dopo, siamo nel 1977, un ex famoso presentatore televisivo (David
Frost) decide di investire tutti i suoi soldi per pagare Nixon e farsi
concedere quattro interviste con cui cambierà la storia della politica e dei
media nel suo Paese. E da questa storia che parte per scrivere il testo Frost/Nixon
(2006) Peter Morgan
(sceneggiatore britannico cui dobbiamo film di forte impatto polito e sociale,
come The Queen, L’ultimo re di Scozia e la stessa trasposizione
cinematografica di Nixon/Frost il duello), soffermandosi non solo
sull’abilità dissimulatoria di Nixon che era uscito dallo scandalo come il
primo difensore del popolo americano, ma soprattutto su come il sistema dei
grandi network americani fosse stato prima suo complice, in questo inganno, e
poi avesse ritenuto inopportuno tentare di metterlo alle corde per ottenere una
confessione.
Dal testo di Peter Morgan, Fernando Bruni ed Elio De Capitani
hanno tratto un
adattamento teatrale per il pubblico italiano, da poco arrivata anche
al Teatro
Argentina di Roma, che dell’opera di Morgan mantiene titolo (Frost/Nixon),
attualità e forza espressiva. La storia di questi due uomini, interpretati dagli
stessi Bruni e De Capitani, simili in molte cose (volitivi, desiderosi di un
riscatto per le loro umili origini e soprattutto bramosi di ritornare al
centro dell’attenzione, politica per Nixon, mediatica per Frost), si
confrontano, si studiano e si sfidano, sapendo che alla fine uno solo riuscirà
a riconquistare ciò che ha perduto, in un dibattito fittissimo in cui parole
come etica, popolo, giustizia, merito e responsabilità, diverranno solo
paraventi dietro cui nascondere il proprio tornaconto. In poco meno di due
ore, il pubblico seguirà questa partita di ping pong verbale, che in alcuni
momenti mi ha fatto pensare a quella creata da un altro drammaturgo inglese (Rosencratz
e Guildestern sono morti pièce di Tom
Stoppard del 1966) per la capacità di rispondere sempre a una domanda con
un’altra domanda o (ancora più importante per un politico) di riuscire a
“dialogare” per ore senza rispondere mai alla domanda che è stata posta. Nixon
certo ne era maestro, ma guardandoci in giro oggi sarebbero in molti a poter
contendere il suo primato.
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