Osservare una palude…di scrittori.
La fotografia necessita di osservazione. Fin qui nulla di eclatante mi direte. Ogni parola ha però la sua “soggettivazione”
in chi la emette.
Per Henri Cartier Bresson osservare (e volutamente utilizza questo verbo ben più impegnativo rispetto
a “vedere” o “guardare”) vuol dire dedicare tutta la propria attenzione
all’oggetto dell'osservazione, trasformandoci in scienziati dalla curiosità
insaziabile, capaci di seguire e analizzare il movimento esterno e interno dei
corpi che incrociamo. Fare questo impone
all’osservatore l’incognito. Guai a far sentire alla preda i nostri passi che si avvicinano, guai a pensare di essere più
importanti dell'osservazione che si sta compiendo. Bresson si riferiva ad
alcuni suoi colleghi, che riteneva così impegnati a impressionare il pubblico
con il proprio lavoro, da fare troppo rumore, spaventare l'oggetto della loro
osservazione, ritrovandosi così da soli a contemplare una brutta foto. Qualcosa
del genere è accaduto con la pubblicazione su la lettura di un articolo di
Franco Cordelli intitolato La palude degli scrittori, in cui l'autore, partendo da alcune metafore che proprio non digerisce
nei libri di Giorgio Falco, definisce la letteratura
italiana degli ultimi vent'anni «una palude, in cui il bello e il brutto
sono detti e sostenuti secondo un percorso prestabilito: pubblicazione (ma
pubblicano tutti), recensione, premio.» Il valore, le idee, i principi, la
necessità di scrivere perché si ha qualcosa da dire, tutto sembra assorbito da
una palude in cui piccoli gruppi di
autori (e Cordelli suggerisce interessanti classificazioni) si autopromuovono per massimizzare la loro
visibilità e quella dei loro simili, una palude dove sono ormai in pochi a
guardare, ancora meno a osservare. All'articolo di Cordelli sono seguite sul corriere.it
e in altre sedi molte prese di posizione (da Gilda Policastro, a Paolo Sortino,
da Andrea Di Consoli a Gabriele Pedullà) pro o contro (per lo più contro) l’analisi
proposta legate, come sostiene giustamente Paolo Di Paolo, più alla frustrazione
per essere stati esclusi dalla classificazione ideata dall'autore che alla
volontà di capire ciò che ha spinto Cordelli a paragonare quello che dovrebbe
essere l'humus creativo di uno scrittore italiano contemporaneo (i libri
che vengono pubblicati, recensiti e premiati) a una palude. Ancor meno si è percepita la volontà di
spiegare a chi non fa parte di un qualsiasi gruppo di autori ed è solo un “umile
lettore”, si dice ne esistano ancora in cattività, se la palude letteraria cui
attingiamo può essere ancora bonificata e come.
Ma le risposte a Cordelli saranno ancora tante e c'è da sperare. Qualcuno
si ricorderà di osservare, liberandosi dall'individualismo ipertrofico che
proprio Bresson deplorava già nel 1961?
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