Cinecittà: Ieri, Oggi e domani. Le Majors tornano a produrre film in Italia?
Neppure Benito Mussolini avrebbe immaginato
che gli studi cinematografici di Cinecittà, inaugurati il 28 aprile 1937,
sarebbero diventati davvero grandi solo quando si sarebbero aperti a quel
cinema straniero, americano in primis, che Mussolini aveva in mente di
combattere e controllare con la trasformazione di 500.000 metri quadri di
campagna romana in un centro di produzione cinematografica che non aveva uguali
nel vecchio continente.
Gli studi di
Cinecittà sono diventati famosi, creando migliaia di posti di lavoro fra
mano d’opera diretta e indotto solo
negli anni ’50, quando le grandi Mayors
americane (Metro Goldwin Mayer in testa) iniziarono a produrre i loro film
“peplum” (ossia ambientati nell’antica Roma o giù di lì), il più famoso dei
quali fu Ben-Hur girato nel 1959 da
William Wyler (regista di Vacanze Romane),
interpretato da Charlton Heston e sceneggiato tra gli altri da Gore Vidal. Questo
film, che detenne per 38 anni il primato del lungometraggio più premiato nella
storia degli Oscar (ben 11 statuette), divenne un successo clamoroso, salvando
la MGM dalla bancarotta e contribuendo a creare il mito della Hollywood sul Tevere, consacrata da La dolce vita di Fellini (1960).
Lo stesso Fellini diceva di sentirsi a casa solo nel suo Studio 5 di
Cinecittà (ancora oggi il più grande d’Europa): «L’emozione assoluta, da
brivido, da estasi, è quella che provo di fronte al teatro vuoto, uno spazio da
riempire, un mondo da creare.» Gli anni Settanta però videro il declino della
posizione conquistata dagli studios
romani, fino alla lenta agonia degli anni Ottanta e Novanta. Con l’arrivo del
nuovo secolo qualcosa sembrò iniziare a muoversi e Martin Scorsese decise di realizzare nel 2002 Gangs of New York proprio a Cinecittà, permettendo la
ricostruzione di strade, palazzi e una parte della New York del XIX secolo,
completa di porto, ma erano solo piccoli successi in mezzo ad anni difficili.
Certo, le produzioni cinematografiche del secondo decennio del XXI secolo sono
molto diverse da quelle degli anni ’50 del Novecento. Con la computer grafica
si possono creare persone, oggetti, capi di abbigliamenti, palazzi e intere
città, senza muoversi da un fondale azzurro in un piccolo studio americano. E
allora cosa dovrebbe spingere le Mayors e perché no anche le “minors”
a varcare l’oceano solo per respirare il
profumo di Fellini? Magari qualche
incentivo fiscale? Sapete perché le case di produzione americane
investivano tanto in Italia a metà dello scorso secolo? Perché esisteva una
legge che non soltanto incentivava fiscalmente le realtà straniere a portare
produzioni in Italia, ma obbligava le stesse a reinvestire i guadagni su mano
d’opera e produzioni italiche. Che fosse un’idea buona?
Il ministro dei beni e delle
attività culturali Franceschini ha annunciato qualche giorno fa che, grazie all’art bonus (legge entrata in
vigoro lo scorso giugno che ha raddoppiato il credito di imposta per le aziende
che investono in produzioni cinematografiche in Italia), sono stati già raccolti investimenti per
150 milioni di euro per film che saranno girati a Cinecittà, di cui uno
sarà proprio il remake di Ben-Hur, sceneggiato
da John Ridley (premio Oscar nel 2013 per la sceneggiatura non originale di Dodici anni schiavo). Che bastasse
copiare i nostri casi di successo per replicarne gli effetti? Troppo facile mi
direte. Già, ma al punto in cui siamo scartereste l’ipotesi?
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