Studiare i classici
Studiare, o anche solo
leggere i classici. Scrittori
di best seller e non, editor, i vostri insegnanti, persino
la vostra mamma ve l’avrà suggerito, spegnendo l’entusiasmo per un libro che
avevate appena finito di leggere, perché flebile imitazione di un “classico”.
Ma cos’è esattamente un classico? E la definizione rimane costante nel tempo? Dostoevskij, Tolstoj, Flaubert, Zola, Dickens, Wilde, solo per citare alcuni fra i più (ri)conosciuti autori di classici dell’Ottocento che hanno ispirato intere generazioni di scrittori e lettori. Spiegati, analizzati, misurati, citati, plagiati, ammirati e invidiati, a loro volta si sono ispirati a chi li ha preceduti. Cosa sarebbero stati questi autori senza Shakespeare o tornando ancor più indietro Ovidio, Lucrezio, Terenzio, Omero? Giacomo Leopardi durante il suo viaggio a Roma, città che non amò e in cui si sentì più estraneo del solito, si lamentava dell’ignoranza degli artisti locali che non avevano una conoscenza approfondita dei classici (per lui i greci e i latini), per non parlare della assoluta incapacità a leggerli nella loro lingua originale. Come potevano parlare di arte senza essere passati per quella scuola?
Qualcuno
potrebbe dire che il concetto di classico è figlio dell’epoca in cui si vive
e che ciò che viene riconosciuto come tale in un secolo può essere accantonato
nel successivo. Forse. Chi avrebbe pensato ai tempi di Leopardi che sarebbe
giunto un giorno in cui il selfie
sarebbe diventato un “classico” della comunicazione fra esseri umani?
Ma un classico è tale solo se rimane indenne al tempo, riuscendo a
oltrepassare mode e sensazionalismi, strattonando emozioni dai giorni della
rima baciata così come da quelli dell’emoticon che ti dà un bacio. Nessuno
dovrebbe uscire indenne dalla lettura di una pagina di Kafka, Brecht, Mann,
Pirandello, Pasternak, Joyce, Woolf (per passare al Novecento), tutti parte di
un sistema di ispirazione a catena, tanto caro all’idea di Ben Jonson (il
drammaturgo inglese e non l’atleta canadese) prima e di Harold Bloom poi. Piramide di artisti che vede in cima anche il
nostro Dante Alighieri e la sua Commedia.
Ma quanti oggi leggono il suo Inferno al netto degli studenti del liceo che vi
sono obbligati? Eppure in molti
condividiamo le pene e i contrappassi ideati dall’Alighieri per la terra dei
dannati.
Non ne siete convinti?
Strano. Quanti di voi erano in un centro commerciale lo scorso sabato? Fra bolge di consumatori rapaci e affamati, castrati dalla crisi
economica, che possono ancora sfogare la loro libido e per questo sono dannati. Condannati a girare e rigirare,
avanti e indietro su un percorso che disegna la casa ideale che nessuno
possiede. In un luogo dove la luce del sole è vietata e i “latrati” dei bambini bulimici bisognosi di soste continue davanti a
cibi a basso prezzo devono essere placati. Dove “donne arpie” beccano senza pietà la testa dei loro compagni con
misure e colori perché ogni angolo della loro casa sia saturo di niente. E
apatici e silenti uomini barcollano,
trangugiatori di parole altrui attraverso bocche oscure e senza fondo.
Li vedete ora? Sentite
cosa provano? Chi avrebbe detto che un
sabato del genere si sarebbe trasformato in un noir vivente sui sette peccati
capitali? Purtroppo il mio telefono era scarico e quindi niente selfie con i dannati da allegare al
post, ma chi mi fermerà ora dal rileggere e studiare i classici per vedere se
riesco a entrare nel plot de La
dodicesima notte?
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