Il prezzo di Arthur Miller
È un anno particolare il 2015 per ricordare Arthur Asher Miller, uno dei più interessanti e acuti drammaturghi del XX secolo. Ricorrono i cento anni dalla nascita (New York, 17 ottobre 1915) e sono passati dieci anni dalla sua scomparsa (10 febbraio 2005). A lui si legano alcuni dei titoli più conosciuti del teatro americano del secolo scorso, anche da chi non è mai andato a vederli, ma ne ha sentito parlare, li ha visti trasposti al cinema o in televisione o semplicemente li ha sentiti citare da qualche attore con tono reverenziale.
Erano tutti miei figli (del 1947, che gli valse due Tony Awards e il premio New York Drama Critics Circle, trasposto poi al cinema nel 1948), Morte di un commesso viaggiatore (del 1949, che gli valse il premio Pulitzer e tre Tony Awards, che ha visto numerosi adattamenti tra cui vale la pena ricordare quello del 1985 della CBS con Dustin Hoffman nel ruolo di Willy Loman), Uno sguardo dal ponte (del 1955 che ha visto fra i tanti anche un adattamento di Luchino Visconti) fra i titoli più famosi e ricordati di Arthur Miller che negli ultimi anni della sua produzione drammaturgia si confrontò sempre più con la sua storia familiare, arrivando a scrivere nel 1968 Il Prezzo. Storia dei fratelli Victor e Walter Franz che, ormai cinquantenni, si incontrano dopo sedici anni di rispettivo silenzio, per trovare un accordo sulla vendita del mobilio appartenuto al padre morto.
Umberto Orsini e Massimo Popolizio |
È l’occasione per scavare in una famiglia che ha vissuto, come quella di Miller, il crac del 1929, passando da una certa agiatezza alla miseria più oscura, portando alla luce vecchi e sedimentati rancori e anni di non detto. Il testo, rappresentato per la prima volta in Italia nel 1969 con Raf Vallone e Mario Scaccia, è ancora capace di offrite agli spettatori la sua dote di amarezza e brillante crudeltà inalterata a distanza di quasi cinquant’anni, dimostrando quanto l’intuizione di Umberto Orsini e Massimo Popolizio di riproporlo nel 2015, in prima nazionale al Teatro Argentina di Roma, fosse giusta.
Davanti a una catasta infinita di mobili e di anni, i due fratelli Franz si stuzzicano, attaccano e feriscono, come se tutta la pièce fosse un’avvincente gara di fioretto in cui entrambi i contendenti hanno tolto il pallino protettivo dalla punta delle loro spade. Testimone della carneficina di parole e memorie sarà Gregory Salomon (interpretato da un perfetto Umberto Orsini), ultranovantenne antiquario che uno dei fratelli Franz (Victor, interpretato da un Massimo Popolizio in stato di grazia, che conferma la sua abilità a portare se stesso in ogni personaggio senza risparmiarsi) ha chiamato per una stima del valore del mobilio.
Il pubblico non può staccare gli occhi dai due fratelli Franz, prendendo le parti di Victor o di Walter a seconda del proprio vissuto e dei propri valori, non riuscendo a rimanere semplice spettatore della ricerca di un prezzo giusto a cui vendere la propria memoria. Questo ad Arthur Miller sarebbe piaciuto.
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