Il più che degno indegno di Antonio Monda
Qualche giorno fa a Milano, a pochi
passi dagli insaziabili piccioni di Piazza Duomo e dal cliccare nervoso dei
selfie matti e disperatissimi, monumento umano all’ingordigia di se stessi,
Antonio Monda ha presentato, con l’aiuto di Gian Arturo Ferrari e Claudio
Magris, il suo quarto romanzo “americano”: L’indegno
(edito da Mondadori). Tema portante dell’opera è il peccato, la colpa che
da esso di sprigiona e il significato che oggi diamo a entrambi. Il protagonista,
padre Abram Singer, è un prete cattolico dal cognome ebraico, che ogni giorno
si confronta con l’inadeguatezza dei suoi atti, se paragonati alla forza del
suo credo. Capace di mentire, intrattenere rapporti carnali con una donna,
metterla incinta e portarla ad abortire pur di liberarsi della scomoda prova
della propria debolezza, padre Abram sembra ricordare al lettore che la fede
consiste nell’esserci nel momento dell’abominio, del peccato e nel rimanere
esposti ad essi, perdurando.
Se, come ci ha ricordato Gian Arturo
Ferrari: «il libro parte dal presupposto che la colpa massima e il peccato
massimo possano essere riscattati dalla fede», il rischio che si è assunto
l’autore è quello di costruire un personaggio in cui interiorità ed esteriorità
(intesa come attuazione nel mondo dell’interiorità) sono in continuo
disaccordo, come due strumenti musicali che suonano in lotta fra loro a scapito
della partitura di idee che li governa. Eppure questa lotta non fa pensare
nemmeno per un secondo a padre Abram di lasciare andare la sua certezza, di
togliersi l’abito talare per vivere, come fanno i suoi parrocchiani, la New
York degli anni ’70 in cui Antonio Monda ha ambientato L’indegno.
La scelta di fare di un prete il
protagonista, viene dalla conoscenza dell’autore di quella realtà. È lo stesso
Monda a confidarlo ai lettori: «sono particolarmente legato al mondo del
sacerdozio. Ho studiato dai gesuiti e conosco questo ambiente. Volevo ricreare
il mondo della solitudine che può ammantare un prete. Gli abiti neri, i libri
in ordine, il silenzio. E poi certo non poteva mancare la boxe, c’è in tutti i
miei libri. Qui mi serve anche come fondale. Il lettore non guarda l’evento
sportivo eccezionale che presento (Muhammad Ali contro Leon Spinks nel 1978),
ma come i miei personaggi guardano quell’incontro. Un gruppo di preti e monache
davanti a un televisore scassato in un refettorio, mentre mangiano un orrendo
stufato, sorseggiando coca cola.»
Antonio Monda |
Ha ragione Claudio Magris quando dice
che leggendo questo libro gli è venuto subito alla mente il filosofo austriaco MartinMordechai Buber e la sua idea di rapporto fra l’uomo e Dio. Buber diceva che
bisogna servire Dio con l’impulso buono e con quello cattivo. È quello che fa
il protagonista de L’indegno: da un
lato accetta la vita con tutte le sue lacune e brutture e contemporaneamente le
condanna, convinto che non c’è nessuna grandezza nel mondo del peccato. Dio è
criticato, attaccato, ma mai disconosciuto. Attenzione però, padre Abram non fa
della sua fede un’ipocrisia. Lui sa ciò che è e ciò che ha fatto, ciononostante
crede nel sistema di regole e di fede in cui è immerso. Quando conclude una
confessione di un fedele è sinceramente soddisfatto per il sostegno che ha
offerto: «non c’è momento in cui non ringrazi chi mi ha creato. Non bisogna
vergognarsi di nulla.»
L’indegno è un romanzo a sé e nello stesso
tempo rappresenta il quarto volume di un unico progetto incentrato sul tema del
peccato e della colpa cui Antonio Monda sta lavorando da anni. Per questo il
lettore affezionato potrà ritrovare nel corso della narrazione alcuni
personaggi di storie passate. Lo stesso Abram Singer nasce con questo nome
perché figlio della protagonista del romanzo La veglia non esiste che lo mette al mondo dopo aver avuto una
relazione con un attore di strada che si chiama Nathan Singer. Trent’anni dopo il
lettore scopre cosa è accaduto a quel bambino: è diventato un uomo che crede
fortemente e sinceramente in Cristo, nella bontà, nella salvezza, nella
redenzione e quando fa del bene, perché lo fa, lo fa fino in fondo. Un uomo che
ha compiuto la scelta di alienarsi dal mondo esterno e, pur ritenendola ancora
giusta, non riesce ad adeguarsi alle conseguenze. L’indegno è la storia di un uomo che lotta contro se stesso e
perde, ma non smette di credere in quello per cui sta lottando.
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