Natale, si sa, è un periodo di strenne. Offerte speciali, tasse speciali, scortesie speciali, disseminate come neve fangosa su persone di cattivo umore che dovrebbero, grazie a questo umidiccio dono, sorridere a denti stretti, così stretti da spezzarsi, insieme alle bocche e ai desideri, perché tutto si azzittisca, si spenga in una luminaria di terz'ordine attaccata con lo scotch alla vetrina di un negozio vuoto. In una città come Roma, che non ha mai creduto agli addobbi natalizi, alle luci colorate o ai cori festosi e che è lontana molto più di una TAV da Parigi, molto più di una moneta da Londra e molto più di una speranza sul futuro da New York, il Natale passa velocemente, ignorato. Non c’è neve qui, almeno non in dicembre, non ci sono dolci tipici con cui tentare il palato, come il panettone milanese o gli struffoli napoletani, ma soprattutto non c’è voglia di credere a una storia di speranza e cambiamento come quella che il Natale c’impone. C’è troppa fame , non soltanto...