I dissidenti, nostri e di Jonathan Lethem
«La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita.»
Ve la ricordate? Era il 1994 e un
uomo vestito di bianco dall’aria serena si godeva il caldo. Era seduto su una panchina vicino a una fermata
dell’autobus, a Savannah in Georgia. Sulle ginocchia aveva una scatola di
cioccolatini, anch'essa bianca, tenuta insieme da un fiocco arancio. Senza
curarsi di chi aveva intorno, l’uomo iniziava a raccontare. È l’incipit di Forrest
Gump film di Robert Zemeckis, tratto dall'omonimo romanzo di Wisnton Groom
del 1986.
Nel racconto si condensano
trent’anni di storia americana che sono poi i veri protagonisti del film, in
cui Forrest appare per caso, riuscendo a conoscere John F. Kennedy, Lyndon Johnson,
John Lennon e Richard Nixon e, sempre per caso, a partecipare ad alcuni dei più
importanti e sofferti eventi della storia americana che va dagli anni ’60 agli
anni ’80. Proprio a Forrest Gump fa riferimento Jonathan Lethem in un’intervista
al The Daily Telegraph dello scorso gennaio in occasione dell’uscita
sul mercato editoriale britannico del suo nuovo romanzo Dissident Gardens.
Lethem ci racconta che il suo
ultimo lavoro è stato costruito in maniera speculare rispetto a quella che egli
stesso definisce la «Forrest Gump history», ossia una narrazione che diventa
semplice fondale a grandi eventi storici. In Dissident Gardens (appena
uscito in Italia con il titolo I
giardini dei dissidenti – Bompiani – traduzione di Andrea Silvestri) Jonathan
Lethem attua l’operazione inversa. I suoi protagonisti, a cominciare da Rose e
Miriam, due donne che mettono al servizio di un’idea la propria vita e quella
delle persone che da loro dipendono, si muovono attraverso cinquant’anni di
storia americana (dagli anni ’30 fino alla nascita del movimento Occupy Wall
Street), dimostrando che il loro narrato è più potente del fondale storico in
cui si muovono. Le scelte di rottura difese e attuate da queste due donne,
causeranno la loro espulsione persino da mondi fatti di persone all’indice.
Così accadrà alla poderosa Rose Zimmer, ebrea comunista del Queens,
appartenente al leggendario quartiere di Sunnyside Gardens (luogo mito della
sinistra americana disegnato da Lewis Mumford alla fine degli anni ’20 per la
comunità utopica comunista), che da questa enclave di “dissidenti” verrà
espulsa a causa di una relazione con un poliziotto di colore.
In questo romanzo di ricerca (di
un ideale inattaccabile, di un luogo dove poterlo esprimere, di una persona con
cui poterlo condividere) Jonathan
Lethem mette anche molto del suo vissuto (sua nonna ha abitato al Sunnyside
Gardens), offrendo al lettore un’occasione per «capire come alcune ideologie e
divisioni possano (e debbano [ndr]) tradursi nella vita delle persone.»[1]
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