L’Italia è in attesa di un nuovo Riccardo III che la “salvi”? Alessandro Gassmann ci prepara all’impatto.
«Più è grande la bugia, più è
difficile confutarla.»
No, non siamo riusciti a entrare
nella mente di uno dei politici che governano questo paese, né in quelle dei
loro collaboratori. La frase è tratta da uno dei monologhi interiori di Riccardo
III, protagonista dell’omonima tragedia di Shakespeare.
Questa piccola frase ha in sé la chiave del successo di quest’ uomo politico,
che, alla fine, sarà ucciso proprio a causa della sua arte di far apparire
giusto l’ingiusto e vittima il supremo carnefice (e qui noi contemporanei
potremmo sorprenderci).
Siamo alla fine del XV secolo, al
termine della guerra delle due rose (fra York e Lancaster) per il controllo del
trono d’Inghilterra, che porterà all’insediamento sul trono della dinastia dei
Tudor al posto dei Plantageneti. Insediamento che avverrà proprio grazie alla
sconfitta del “perfido” Riccardo III. Capace di qualsiasi azione pur di
raggiungere i suoi obiettivi, appare al pubblico come la rappresentazione di un
uomo deforme nell’animo, ancor più che nel corpo (Riccardo III aveva
molti problemi fisici, fra cui la famosa gobba). Riccardo uccide mariti e
figli, per poi sposarne le mogli e le madri, solo per farle diventare pazze e
ricominciare da mariti e figli più importanti. Riccardo usa l’amicizia come passepartout
per il potere e il tradimento, come un’arte non solo necessaria, ma addirittura
piacevole. Riesce a convincere le folle e i singoli che il suo bene è il
bene del paese e, somma astuzia, alla fine si farà pregare per “scendere
in campo” e conquistare il potere che ha sempre sognato. È così abile nel
farlo da diventare affascinante. Il pubblico è curioso di scoprire le sue
geniali idee, conscio che il potere più grande di Riccardo non è la spada, ma
la parola. È con essa che Riccardo convince i suoi nemici e prepara la morte
dei suoi amici ed è con essa che il pubblico si è dovuto confrontare anche
nell’ultima rappresentazione del Riccardo III diretta e interpretata da Alessandro
Gassmann che dopo il Piccolo di Milano è sbarcata a Roma al Teatro
Argentina.
Il teatro è già pieno dieci
minuti prima dell’inizio dello spettacolo, cosa assai rara per l’abitudine di
farsi attendere che a teatro ha persino il pubblico. È l’ultimo sabato in cui
l’opera è in cartellone e tutti vogliono vedere Alessandro Gassmann. L’attore ha scelto la sua personale strada per
la deformità fisica di Riccardo III, puntando a potenziare la sua già
imponente mole, con tacchi e sopralzi, presentandosi in scena come un
novello Frankenstein (a metà fra il Lurch della famiglia Addams
e il personaggio creato da Mary Shelley) dai movimenti rigidi, sofferti e il
volto coperto da un pesante trucco bianco e grigio. Il pubblico inizia a
pensare di essere venuto ad assistere alla rappresentazione di attori fantasmi,
fuorusciti, solo per alcune ore, dalle persone aggressive e rabbiose con cui ci
confrontiamo ogni giorno e che certo sono più abili a nascondere le proprie
deformità. Alessandro
Gassmann si cala nel personaggio di Riccardo III con abilità,
evitando di ricalcare illustri predecessori (a cominciare da suo padre, diretto
da Luca Ronconi nel 1968). Cerca una nuova strada interpretativa, partendo da
un testo rivisitato e attualizzato nel linguaggio, senza eccessi, da Vitaliano Trevisan, che
lo fa entrare subito in simbiosi con lo spettatore. Come al tempo di
Shakespeare, la gente vive immersa negli intrighi politici, di cui spesso
non capisce le logiche, ma soffre gli effetti. Questa rappresentazione ha
il merito di sollevare il sipario sui retroscena, facendo scaturire il dubbio
nel pubblico di potersi comportare allo stesso modo di Riccardo, trovandosi a
pochi passi dal potere. Anche il pubblico, come Riccardo, è stanco di
sentirsi considerare inferiore a chi gestisce il potere e anche il
pubblico, come Riccardo, è pieno di rabbia, perché si sente deriso
e perennemente escluso dal tavolo delle decisioni. Questo Riccardo III smuove
le coscienze e la sua visione sarebbe consigliata vivamente ai “nostri York e
ai nostri Lancaster” che si sfidano a colpi di minuti televisivi, senza
accorgersi che di novelli Riccardi ne hanno già parecchi intorno pronti a
colpire e non tutti saranno “deboli” come quello creato da Shakespeare.
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