Salman Rushdie, la science fiction e il suo nuovo fanta-romanzo
Avete mai
provato a fare libere associazioni? Dovete rilassarvi e rispondere alle
sollecitazioni con la prima parola che vi viene in mente, senza pensare. Se
dico “cane”, molti risponderanno “gatto”, se dico Salman Rushdie, quasi tutti
risponderanno I versi satanici. Il libro più conosciuto, controverso e destabilizzante
degli anni ’80 (sì, sono passati quasi trent’anni da quel 1988), che fece
conoscere Salman Rushdie in tutto il mondo a causa della fatwa di Khomeyni, che
ne decretò la condanna a morte
per bestemmia
il 14 febbraio del 1989 per alcune pagine del romanzo in cui Maometto è
ingannato dal diavolo che gli suggerisce un passo del Corano.
Prima della fatwa c’erano già stati roghi pubblici
del libro, ripescaggio di antiche leggi contro la blasfemia, rivolte di
migliaia di persone in Pakistan. Quello che è stato uno dei più grandi
best-seller della casa editrice Viking Press (750.000 copie di vendite solo nel
primo anno e milioni nel decennio successivo) ha cambiato per sempre la vita
dello scrittore indiano che, al tempo dell’uscita de I versi satanici, aveva già ottenuto uno dei riconoscimenti più
importanti per un autore di lingua inglese (Booker Prize nel 1981 per Midnight’s Children) e non pensava certo
che i suoi versetti, a metà fra il magico e l’onirico, l’avrebbero costretto a
una vita da recluso.
Oggi se proponessimo una libera associazione a
Salman Rushdie probabilmente pensando al suo nome risponderebbe science fiction (fantascienza). In pochi sanno
che con Grimus (esordio letterario
del 1975) Rushdie si è cimentato proprio con questo genere, creando la storia
di un indiano che riceve il dono dell’immortalità ed esplora il mondo per
centinaia d’anni alla ricerca dell’immortale sorella, fra realtà parallele e
ampi spazi al magico. L’opera non fu accolta bene dalla critica, portando
l’autore a virare sulla “classica” fiction con Midnight’s Children (sebbene Saleem Sinai, la voce narrante di
questo romanzo, sia dotato di poteri telepatici).
Ma la passione per il genere fantascientifico resta,
d’altronde Rushdie stesso si definisce «a complete addict of science fiction»,
tanto che il suo ultimo romanzo Two years eight months and twenty-eight nights
(appena uscito per la Penguin Random House, e pubblicato, in Italia, da
Mondadori con il titolo Due anni, otto mesi & ventotto notti), racconta la
storia del filosofo Ibn Rushd (il filosofo che noi conosciamo con il nome di
Averroè e da cui il padre di Salman Rushdie inventò il cognome inglese della
sua famiglia) innamorato di Dunia, spirito magico della tradizione mussulmana
(quello che potremmo definire un genio), in incognito. La narrazione si muove
fra salti temporali e geografici e finisce con uno scontro che assomiglia a una
delle epiche lotte fra bene e male alla Tolkien o a Game of Thrones (serie
televisiva fantasy HBO che lo stesso Rushdie ha dichiarato di guardare).
A leggerlo, ci
dice la giornalista americana Alexandra Alter del «The New York
Times», fa pensare a un blockbuster
scritto da Kafka e se vi pare ancora poco per associare al science fiction e al
fantasy Salman Rushdie, vi posso dire che proprio Rushdie ha lavorato a un
progetto per una serie science fiction televisiva per Showtime (network
americano) in cui universi paralleli al nostro entravano in collisione.
Ora riproviamo,
io dico Salman Rushdie e voi rispondete…
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